AgenPress. Un romanzo ricolmo della grande letteratura, che il giovane autore rielabora secondo uno stile tanto originale quanto necessario a esprimere la propria poetica: a ritrovare l’originario e il primordiale dentro di sé. È questo il modo più verace di amarsi o di amare nell’altro il se stesso che, non a caso, si articola in una sorta di santissima trinità.
Eugenio, Lella, Ottavio sono infatti tre personaggi dibattuti fra cultura e natura, fra il viaggiare e lo stare fermi, fra l’andarsene e il rimanere dacché, se tutti se ne vanno, chi rimane a sentire nel profondo il risuonare di quella primordiale coappartenenza di terra e sesso, all’esterno della quale ci sono solo le stelle.
Così tanto ne è convinto il giovane autore che, mentre poeticamente narra del continuo oscillare tra vivere e morire, allude alla sacralità degli orifizi femminili e a quella della montagna che veglia e protegge, come fosse un ammasso roccioso in forma di donna placidamente distesa su un fianco.
Tale è il suo magnetismo che il protagonista non solo se ne sente attratto ma, identificandosi nel cinghiale associato alla figura paterna, si pone la suprema domanda: che fare della propria vita? E dunque: “Testa o croce o…”