Riforma della giustizia, Gargani: “A 86 anni, le ragioni di Palamara sono uno stimolo”

AgenPress. Giuseppe Gargani, ex europarlamentare di origini irpine, storico esponente della Dc, già deputato, sottosegretario al ministero della Giustizia, in un’intervista a Spraynews, rivela come le indagini, effettuate da Palamara, dimostrino, come oggi più che mai, serva intervenire sul tema della malagiustizia. «Pur essendo da sempre contrario ai referendum e anti-sovranista firmerò il referendum proposto dai Radicali e che Salvini sta strumentalizzando».


Lei ha presentato un suo ultimo lavoro sul tema della giustizia. Perché questa scelta?

«Dopo un’azione giudiziaria non corretta che per tanti anni è stata portata avanti ho ritenuto di avviare delle riflessioni politiche-giuridiche rispetto a un qualcosa che non funziona. Non ho intenzione di avviare la classica polemica giornalista. La mia non vuole essere un’opposizione rispetto alla magistratura, piuttosto andare in fondo su un qualcosa che non funziona».

Nei suoi studi quanto hanno influito le inchieste pubblicate nel “Sistema”?

«L’ultimo libro di Palamara ha dimostrato una serie di incongruenze e disfunzioni gravi all’interno di una parte della magistratura. Alla mia età, pertanto, ho pensato che fosse il momento di non starmene più in disparte perché le sentenze, come dice anche Palamara, si devono fare in nome del popolo italiano e non di qualche interesse di qualche Pm, d’altronde come ho scritto anche nel mio ultimo lavoro».

Cosa è cambiato, quindi, negli ultimi mesi?

«Ritengo che quel libro ha avviato un vero e proprio processo di consapevolezza. Si è solo all’inizio, ma certamente si può fare ancora tanto».

Quanto serve una riforma della giustizia?

«La riforma della giustizia serve per l’Europa, per avere i finanziamenti, ma soprattutto serve per lo Stato democratico. Una giustizia in crisi determina una crisi della democrazia. Quando il giudice non è terzo, a differenza di come vuole la Costituzione, diventando un magistrato un togato politico, nei fatti, si perde la garanzia per il cittadino».

Che idea si è fatto sui referendum?

«Sono sempre stato contrario ai referendum, in modo particolare quando è stato fatto tanti anni fa sulla responsabilità civile dei magistrati perché ero convinto e lo sono ancora che è il legislatore a dover risolvere problemi complessi. Questa volta, però, poiché sono passati 50 anni e il Parlamento, nonostante tutti i cambiamenti che ci sono stati, non è stato in grado di fare un minimo di riforma della giustizia, salvo quanto accaduto qualche giorno fa, considerando che il Consiglio dei ministri ha dato un segno, allora l’appello al popolo ha un valore. Ho deciso, quindi, di firmare i referendum, cosa che non avrei mai immaginato».

Da anti-sovranista per eccellenza, però, portare avanti una battaglia che sta sponsorizzando la Lega può sembrare un controsenso…

«Salvini sta strumentalizzando una battaglia. Quando ero in Parlamento non la pensava così. Addirittura parlava di cappio per la classe dirigente».

Negli ultimi giorni assolto Alemanno, poi Giosi Ferrandino. Tante le vicende che dimostrano come nei fatti accuse che hanno distrutto la vita personale e politica di personaggi noti poi si sono rivelate infondate…

«Sono tutte inchieste che hanno valore politico e che dimostrano come una certa magistratura nei fatti condiziona la vita dei cittadini. Stiamo parlando di una vera e propria crisi che tocca tutto il nostro Paese e che mette in crisi la democrazia. Questo è il mio pensiero. Tutti sono giustizialisti quando non hanno un problema personale, poi quando lo hanno diventano garantisti».

Per quanto riguarda lo sviluppo, centrale è il tema sul Recovery Fund. Non teme una nuova Tangentopoli?

«Speriamo di no! C’è un controllo maggiore della classe dirigente. Il problema, stavolta, è sapere spendere le risorse. Le Regioni fino a ora hanno dimostrato di non saperlo fare, ma poiché questa volta è il Governo a dover guidare la cabina di regia sono molto più fiducioso e ottimista, soprattutto se Draghi continua a essere il premier».

Ritornando alle questioni politiche. Sono giorni di grandi manovre al centro. Cosa ne pensa della nascita del nuovo partito fondato da Toti e Brugnaro?

«Mi colloco a centro perché da oltre un anno sto lavorando su questa federazione che raccoglie oltre 50 sigle dell’ex Dc. Brugnaro e Toti, come ha detto Rotondi, sono soggetti senza consistenza politica e culturale. Se, comunque, vogliono aggregarsi al nostro progetto, ben venga, ma devono essere loro a fare una valutazione rispetto a chi ha una storia».

Il nome di Conte, per alcuni mesi, è stato fatto come leader di un nuovo centro…

«Conte ha avuto la sua opportunità, ma da quando ha dimostrato di appiattirsi sulle posizioni dei 5 Stelle non è certamente un interlocutore valido. Sembra, inoltre, non aver recepito la lezione di Palazzo Chigi, considerando che continua a mettere al centro la sua persona, sebbene sia stato cacciato dal governo proprio perché voleva una gestione ad personam sul Recovery Fund. Neanche nei 5 Stelle o in qualsiasi altro partito, come nelle istituzioni, secondo il mio punto di vista, si può pensare di avere gestioni personalistiche. Lo stesso Grillo, che ha creato il Movimento, pur essendo un comico, non poteva svendere tutto quanto creato per una ragione che riguardasse il protagonismo di un singolo».

E’ vero, però, che in passato anche la vostra federazione lo ha avvicinato per ricoprire il ruolo di leader?

«Rotondi ha provato ad avvicinarlo perché vedeva in Conte un leader per l’area centrista. Considerando, però, come sono andate le ultime vicende politiche, ormai il discorso è del tutto chiuso».

di Edoardo Sirignano

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