AgenPress. Renzi non è più l’astro nascente di quegli anni lontani. È sorto, ha illuminato, è declinato, si è oscurato, vuol risorgere. Ne ha diritto? Massì che ne ha diritto: in un Paese che si affida al primo che passa, lui è migliore.
Ha un problema: che è sempre salito, e non sa scendere né sostare. Il governo di Conte doveva essere per Renzi una sosta, un disimpegno dalla prima linea per coltivare nuovi sogni, come facevano i Moro e i Fanfani quando finivano nella penitenza dell’oblio. Nella Dc capitava, e Renzi lo sa perché è più democristiano di me, di famiglia, di testa e anche di militanza.
Ecco, Renzi doveva usare il Conte-bis per tessere la tela del nuovo partito degli italiani, una cosa “né destra né sinistra” che piace da morire alla maggioranza del Paese. Del resto Matteo Renzi è uscito dal Pd per quello. Invece di baruffare con Conte, doveva attaccarsi a lui come una cozza, farlo suo, esibirlo, staccarlo dai populisti, farne il trofeo e il simbolo della sua riscossa.
Doveva fare un partito con Conte, tirare dentro i tanti cinquestelle a modino, aiutarli a normalizzare il movimento in un partito nuovo e antico. E poi dedicarsi a Berlusconi, da mane a sera: chiamarlo, visitarlo, ossessionarlo fino al punto da indurlo nel dubbio che il nuovo partito degli italiani non foss’altro che un raddoppio di Forza Italia. Quanto tempo Silvio sarebbe rimasto coi sovranisti? Ve lo dico io che lo conosco: un quarto d’ora.
Invece è andata in un altro modo: il partitino di ‘Italia viva’, la rissa con Conte, la crisi in piena pandemia.
Voi mi direte: ma tutta questa strategia perché la racconti qui e non hai provato a suggerirla prima a Renzi? L’ho fatto, l’ho fatto. Da allora non mi ha risposto più.
Lo dichiara, in una nota, Gianfranco Rotondi vice capo gruppo di Forza Italia alla Camera e presidente della fondazione Dc.