Iran. Amnesty chiede l’annullamento della condanna a morte di Ahmadreza Djalali

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AgenPress – Lo scorso 24 novembre lo scienziato iraniano con passaporto svedese Ahmadreza Djalali ha telefonato dal carcere per l’ultima volta a sua moglie Vida: le ha detto addio perché gli avevano comunicato che sarebbe stato trasferito in isolamento nel braccio della morte e poi impiccato il giorno dopo.

Da allora l’esecuzione di Djalali – arrestato in Iran nell’aprile 2016 e condannato a morte per l’inesistente accusa di spionaggio in favore di Israele – è stata sospesa e rimandata più volte. Il rischio di esecuzione resta elevato.

Chi ha visitato Djalali in carcere parla di un uomo avvilito, dal volto scavato e dal battito cardiaco debole, al quale vengono vietati i contatti con la moglie e i figli.

Per chiedere che Djalali sia prosciolto da ogni accusa, sia rilasciato e possa riabbracciare la sua famiglia, Amnesty International Italia ha manifestato oggi di fronte all’ambasciata dell’Iran a Roma (via Nomentana 361, altezza Sant’Agnese).

Alle ore 18, si è tenuto un presidio a Novara, sede dell’Università del Piemonte Orientale dove Djalali ha svolto attività di ricerca per cinque anni.

Ahmadreza Djalali è stato condannato in via definitiva a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di “spionaggio”.

Djalali è stato arrestato dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz.

Si è visto ricusare per due volte un avvocato di sua scelta.

Le autorità iraniane hanno fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi.

Secondo le informazioni fornite dal suo avvocato, Djalali non può telefonare alla sua famiglia in Iran, non può incontrare o parlare col suo avvocato, è in isolamento e perennemente minacciato di esecuzione.

Secondo precedenti racconti forniti da Djalali, le condizioni nelle celle di isolamento sono inaccettabili, con solo 180 cm × 180 cm di spazio, niente finestre e niente mobili. La cella è altamente antigienica, con solo 3 vecchie coperte che dovevano essere utilizzate come materasso, cuscino e riparo dal freddo. Le celle sono sporche e piene di formiche e scarafaggi.

Le condizioni in cui persiste la detenzione di Djalali sono disumane: oltre alla continua paura dell’esecuzione, il ricercatore è sottoposto a continue e immense torture. Più tempo passa, maggiore è il rischio che l’esecuzione abbia luogo. Ora che si avvicinano le vacanze, non sappiamo cosa intende fare l’Iran e cosa accadrà ad Ahmadreza.

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