Don Aldo Buonaiuto: “Durante l’Anno Santo dedicato alla speranza, in Italia qualcuno pensa a come spegnere la vita”

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AgenPress. “Le sentenze spesso vengono strumentalizzate soprattutto, quando riguardano casi e questioni di grande attualità. E’ ciò che è capitato, in particolare, a recenti sentenze della Corte costituzionale in tema di fine vita, interpretate da molti quale un invito incessante e pressante, rivolto ai decisori, a legiferare per introdurre il “suicidio assistito”. Non è proprio così. Basti evidenziare che la Corte costituzionale non ha introdotto un obbligo positivo in capo al Servizio sanitario nazionale (SSN), o ai medici, di procurare la morte o di aiutare attivamente al suicidio. Questo è ribadito espressamente nella sentenza n. 242/2019, che stabilisce unicamente una “non punibilità” in casi eccezionali, ben delimitati.

La più recente sentenza n. 66/2025 mette addirittura in guardia contro una possibile deriva culturale che, in presenza di una legislazione troppo permissiva, potrebbe indurre persone fragili, malate o sole, a percepirsi come un peso per gli altri e quindi a “scegliere” il suicidio non per reale autodeterminazione, ma per pressione sociale indiretta. L’argomento è complesso e richiederebbe anche adeguate competenze giuridiche per eviscerarlo correttamente” cosi dalle pagine di interris.it Don Aldo Buonaiuto affronta il tema del fine vita appellandosi ai parlamentari affinché non si introduca il diritto al suicidio assistito, il quale sottolinea: “Ciò che preme è però innanzitutto prendere atto, che proprio in virtù di una interpretazione strumentale di queste sentenze, in Italia, non sono mancati casi di suicidio assistito, a carico del SSN, concepito per assolvere ben altre funzioni, tra cui principalmente quelle di cura e tutela della vita e della salute.

E allora diventa impellente fermare questa errata deriva eutanasica. In una società sempre più disumanizzata e desacralizzata non meraviglia il silenzio assordante attorno a un male intrinseco quale l’approvazione di una qualunque legge sul suicidio assistito. Come credenti e uomini di buona volontà non possiamo tacere aldilà dei gentili inviti o meno delle Corti costituzionali. E ciò è ancora più angosciante perché proprio durante l’Anno Santo dedicato alla speranza, in Italia qualcuno pensa a come spegnere la vita. Sono appena una manciata i paesi in Europa e nel mondo in cui viene autorizzata la soppressione della vita.

Undici anni fa la prima nazione al mondo ad estendere ai minori le aberranti pratiche eutanasiche è stato il Belgio e adesso anche da noi soffia il vento di morte che spinge a compiere nuovi delitti e a legittimare il desiderio di uccidersi. Quando una nazione, in nome della libertà o di altri principi pensa a come uccidere legalmente una persona si va incontro al fallimento di una civiltà. Pochi decenni fa anche solo il termine “suicidio” era innominabile e anche i media non lo utilizzavano per scongiurare qualsiasi forma di condizionamento verso le persone più vulnerabili. Non parliamo poi dell’istigazione al suicidio un reato punibile con la reclusione fino a 12 anni. Ciò che deve farci riflettere è l’enorme fragilità delle attuali e prossime generazioni a cui è stato tolto il senso della sofferenza, configurando una concezione della vita ridotta ad esistere solo quando si sta in perfetta forma o quasi.

Un illusionismo e un inganno diabolico abbracciati da non pochi pionieri della morte che vorrebbero accanirsi nel fabbricare le nuove ghigliottine di Stato mettendo sul patibolo le persone colpevoli di sentirsi disperate e sole, gravemente ammalate ma bisognose, come chiunque, di speranza e di vicinanza sincera anche nel momento del dolore. Il problema principale è che manca la capacità di stare accanto a chi soffre, non si sopporta né il proprio dolore né quello altrui, con il rischio e la scusa che la persona da scartare sia da congedare perché desiderosa di farla finita. In realtà c’è solo una legge che possa contrastare la mentalità eutanasica ed è quella dell’amore vero dove l’altro, anche colui che apparentemente sembra non avere più niente da dare e da dire, invece è un dono unico e irripetibile, un fiore raro e profumato di vita eterna. Una gioia da avere accanto facendolo sentire così amato da desiderare pur nel dolore e nella prova di restare insieme cercando di rimandare l’ultimo respiro.

La vera cura per contrastare la deriva dell’eutanasia è la logica dell’amore. Dietro la falsa pietà del fine vita si nascondono interessi economici colossali così da “alleggerire” la collettività dai costi sociali della fragilità. Come dimostrano le leggi tanto esaltate sul divorzio e sull’aborto, quando si approva una norma che spinge a legittimare la via più breve, la scorciatoia del male, non esistono paletti destinati a durare così come siamo arrivati senza batter ciglio al divorzio lampo e alle maglie allargate dei termini per l’interruzione volontaria di gravidanza.

Mentre il 95% dei paesi al mondo non ha legiferato sul fine vita, una legge varata dall’Italia, culla della cattolicità e faro di etica e civiltà, per introdurre il suicidio assistito come diritto, rappresenterebbe un apripista verso l’orrore della soppressione dei fragili. Se un dato scientifico c’è, è proprio che quando si promuove per legge il male non ci si ferma più.

Non esiste “male minore” quando si tratta di sacralità della vita. Leone XIV ha richiamato il concetto di legge naturale e non c’è nulla di meno naturale che provocare o accelerare la morte. Il primo effetto dell’attuale discussione sul fine vita è quello di aver messo diffusamente in circolazione l’espressione “suicidio assistito” che fino a poco tempo fa sarebbe stata universalmente rigettata come inaccettabile. “La vita non è un peso e l’eutanasia non può mai essere sorgente di speranza”, disse appena un anno fa papa Francesco esortando a “non lasciare soli i malati”.

La tragica esperienza di paesi come il Canada o l’Olanda dimostra come orientarsi verso la “cultura dello scarto” favorisca la morte di un numero sconvolgente di persone. Occorre che i parlamentari italiani ne tengano conto prima di incamminarsi lungo derive legislative delle quali all’estero già si sperimentano i danni irreparabili.

Il Servo di Dio don Oreste Benzi ha sempre accolto alla comunità Giovanni XXIII persone con disabilità gravi e gravissime, anche in stato vegetativo persistente e con pesanti patologie offrendo il calore di una vera famiglia. Da infaticabile apostolo della carità ha soccorso e difeso la sacralità della vita dal concepimento al suo termine naturale. La sua testimonianza al servizio dei più fragili che prosegue nelle centinaia di Case Famiglia diffuse nel mondo, testimonia quanto sia disumana la pretesa di poter sopprimere una vita perché si è stanchi di vederla soffrire. La mentalità eutanasica è un’offesa alla persona perché ogni malato ha diritto a non essere abbandonato. Dovere di una società autenticamente civile è innanzi tutto lenire il dolore della solitudine.

L’enciclica “Fratelli tutti” mette in guardia dalla “falsa forma di compassione” che nega il valore fondamentale della vita “attraverso un’azione intenzionale” che provoca o accelera la morte. E invece “i malati e i morenti sono intrinsecamente preziosi agli occhi di Dio e uniti a noi per il vincolo della comunione”.

In verità nessuno merita di morire neanche se lo chiedesse. La falsa libertà di voler scegliere qualsiasi cosa a tutti i costi costituisce una concezione falsificata di libertà. Se in Italia dà fastidio addirittura che un leader di governo riconduca alle radici giudaico-cristiane i simboli della bandiera europea possiamo immaginare quanto possa irritare se qualche cattolico voglia dire al nostro Parlamento anche un “no grazie” a introdurre un diritto al suicidio assistito, nella consapevolezza che occorre arginare comunque ciò che di fatto sta accadendo, mediante strumentalizzazioni di sentenze che ledono la dignità della persona in uno stato di grande fragilità”.

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