Aodi (Amsi-Uniti per Unire): “E’ sempre più allarme per la carenza di medici di famiglia da Nord a Sud”

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AgenPress. Da recenti notizie della stampa nazionale, sembra che a Roma manchino “solo” 100 medici di famiglia. Ma questo dato, secondo le indagini incrociate Amsi-Umem-Uniti per Unire, è riduttivo e fotografa soltanto una parte del problema dal momento che il riferimento è solo alle periferie della capitale.
In realtà, in tutto il Lazio i posti che ci chiedono sono circa 500, di cui 300 nella Capitale, e a livello nazionale si deve parlare di almeno 10.000 medici di medicina generale mancanti, con una proiezione che rischia di superare le 12.000 unità entro il 2027.
Secondo dati nazionali già nel 2023 si registravano oltre 3.100 medici di famiglia mancanti, e i sindacati hanno ribadito che il fenomeno si sarebbe aggravato con i pensionamenti. Non si tratta di un’emergenza improvvisa, ma di una carenza strutturale che minaccia la tenuta della medicina territoriale.
Amsi, come sempre è accaduto in passato per tutte le regioni, è disposizione della provincia di Roma e della Regione Lazio per offrire il proprio supporto in termini di professionisti stranieri che servono alla causa per coprire le voragini presenti.

L’analisi delle nostre associazioni
A nome di AMSI (Associazione Medici di Origine Straniera in Italia), UMEM (Unione Medica Euromediterranea), AISC_NEWS e del Movimento Internazionale Uniti per Unire, interviene il Presidente Prof. Foad Aodi, medico fisiatra, giornalista internazionale ed esperto in salute globale, Direttore dell’AISC_NEWS, membro del Registro Esperti FNOMCeO, quattro volte consigliere dell’OMCeO di Roma, docente dell’Università di Tor Vergata, da giornalista membro della FNSI – Federazione Nazionale Stampa Italiana
«La verità – sottolinea Aodi – è che la carenza non riguarda solo i medici di famiglia, ma anche tanti specialisti, dalle aree di emergenza alla pediatria, fino alla psichiatria. Non possiamo continuare a raccontare ai cittadini che mancano solo 100 medici di base solo in una zona di Roma : i numeri sono molto più alti, e il rischio è quello di un collasso della medicina di prossimità.
Non ce la possiamo certo prendere con i medici, già sovraccarichi: bisogna invece avere il coraggio di cambiare le regole. Il Lazio, come altre Regioni, deve migliorare la situazione in cui esercitano i medici italiani ed aprirsi davvero ai medici stranieri che sono già qui, pronti a lavorare. Perché non agevolarne l’inserimento? Perché mantenerli bloccati tra burocrazia, stipendi non competitivi e l’ostacolo assurdo della cittadinanza come requisito per i concorsi pubblici?».

Non mancano i medici in Italia, mancano i medici giusti
L’Italia non è un Paese senza medici, sia chiaro: anzi, con 4,2 medici ogni 1.000 abitanti supera la media europea, che si ferma a 3,2. Ma il problema è la distribuzione e la tipologia delle specializzazioni. Mentre crescono le carenze nella medicina di base e nella medicina territoriale, i reparti di emergenza-urgenza, pediatria, anestesia e radiologia soffrono di gravi voragini. E poi oculistica, ortopedia, fisioterapia, sono anche settori molti scoperti nella sanità pubblica. Per un totale di carenza di medici che si aggira sulle 30.000 unità (la maggior parte appunto medici di base e specialisti nell’area di emergenza e specializzazioni correlate).
Questa distorsione crea un paradosso: il numero totale di medici in Italia è persino superiore a quello della media UE, ma i cittadini non trovano il proprio medico di famiglia e gli ospedali faticano a garantire specialisti fondamentali per la continuità delle cure.

Carenza di medici di base nelle altre Regioni
Il Lazio non è un caso isolato. Secondo i dati FNOMCeO e sindacali, in Lombardia mancano oltre 1.000 medici di medicina generale, in Piemonte circa 600, in Veneto quasi 500, mentre in Campania e Sicilia la mancanza di copertura supera rispettivamente le 700 e le 650 unità. Nel complesso, sono quindi circa 10mila i medici di base mancanti in Italia, un dato che si somma al fabbisogno crescente di specialisti in più aree.

Carenza di infermieri: un altro fronte critico
Alla crisi dei medici si affianca quella degli infermieri. Secondo le stime, in Italia mancano oltre 65/70.000 infermieri rispetto. I 18.860 infermieri stranieri entrati con i Decreti Cura Italia e Ucraina hanno permesso di tamponare situazioni critiche, ma non bastano a colmare il divario. Le Regioni segnalano carenze diffuse soprattutto nelle strutture di emergenza-urgenza e nell’assistenza territoriale.

L’impatto sociale sulle famiglie e sui territori
La carenza di medici di base e specialisti si traduce in liste d’attesa più lunghe, pronto soccorso congestionati e cittadini senza copertura sanitaria di prossimità. Interi territori restano scoperti, con pazienti costretti a spostarsi di decine di chilometri per una visita. Questo genera diseguaglianze crescenti, soprattutto nelle aree periferiche e nel Sud del Paese.

L’appello delle associazioni
AMSI, UMEM, AISC_NEWS e Uniti per Unire ribadiscono la necessità di un coinvolgimento immediato dei professionisti sanitari stranieri già presenti in Italia. Le associazioni chiedono al Governo e alle Regioni di aprire un confronto strutturato per trasformare questa risorsa in una risposta concreta all’emergenza sanitaria, garantendo così continuità assistenziale, riduzione delle liste d’attesa e un modello sanitario più equo e sostenibile.

Le denunce e le proposte di Aodi
«Lo sappiamo o no – continua Aodi – che rischiamo di perdere, da qui a pochi anni, non solo i nostri giovani medici italiani e specialisti ambulatoriali ed ospedalieri , ma anche i professionisti stranieri che già operano in Italia? Già molti guardano all’estero, attratti da stipendi più alti e condizioni migliori. Paesi del golfo ,Germania, Regno Unito e Belgio pagano come minimo il doppio. Svizzera, paesi scandinavi e paesi arabi pagano il triplo e oltre.

Come AMSI, UMEM, AISC_NEWS e Uniti per Unire chiediamo con forza:
• di eliminare l’obbligo della cittadinanza per l’accesso ai concorsi pubblici e al concorso di medicina generale , sostituendolo con criteri legati a competenze e titoli;
• di accelerare e semplificare il riconoscimento dei titoli di studio e delle specializzazioni;
• di adeguare stipendi e contratti alla media europea, per evitare la fuga all’estero;
• di aprire un tavolo permanente tra Governo, Regioni, FNOMCeO e FNOPI e associazioni per valorizzare i professionisti stranieri già presenti; Noi siamo a disposizione con le nostre associazioni e movimenti, come avvenuto in passato, per offrire il nostro contributo per il rispetto delle leggi vigenti per tutti rispettando diritti e doveri
• di programmare un piano di inserimento strutturale, non emergenziale, dei medici e degli infermieri stranieri nella sanità pubblica».
• Tavolo di discussione con FNOMCEO e FNOPI per valutare le strategie da intraprendere, senza dimenticare che la proroga del Decreto Cura Italia scade il 31 dicembre 2027.

Aodi: 15.600 richieste di medici in cinque anni, emergenza nelle periferie e nella medicina di famiglia
“Negli ultimi cinque anni – dal 2020 a oggi – all’Amsi e alle nostre associazioni partner sono arrivate oltre 15.600 richieste da tutte le regioni italiane, sia dal settore pubblico che da quello privato, per medici specialisti nell’area dell’emergenza e discipline collegate”, dichiara il prof. Foad Aodi, medico e presidente di Amsi e Umem. “Parliamo di pediatri, medici di famiglia, guardia medica e pronto soccorso privato, figure sempre più ricercate, soprattutto nelle regioni più in sofferenza e nelle aree periferiche, a Roma come in molte altre città. In questi territori abbandonati e a rischio sociale, tanti giovani colleghi non vogliono più intraprendere la carriera di medico di famiglia, e questo rende ancora più urgente un piano nazionale di sostegno e valorizzazione per queste professionalità essenziali”.

Un allarme per il futuro
La mancanza di medici di base non è un dato isolato, ma la punta dell’iceberg di una crisi complessiva della sanità italiana. Il rischio concreto è quello di lasciare interi territori senza assistenza primaria, con un impatto diretto sulla salute dei cittadini e sulle liste d’attesa già intasate.
«Se non cambiamo rotta subito – conclude Aodi – rischiamo il collasso della medicina territoriale. Abbiamo già in casa migliaia di professionisti stranieri che hanno salvato migliaia di reparti e servizi negli ultimi anni. Non possiamo permetterci di perderli: dobbiamo aprire le porte, valorizzarli e integrarli. Solo così potremo garantire un futuro alla sanità italiana e ai nostri pazienti».

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