Agenpress – “Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi alla gioia, ma alludo al superamento di ogni contraddizione che attraversa la nostra vita perché siamo costantemente nello squilibrio e nell’instabilità: non ci attende la reincarnazione o la resurrezione, ma qualcosa di infinitamente di più”.
Così Emanuele Severino, scomparso a Brescia lo scorso 17 gennaio ma si è saputo soltanto oggi, per sua volontà. Il filosofo, che avrebbe compiuto 91 anni il 26 febbraio, è stato già cremato.
Severino considerato uno dei più grandi filosofi, scrittori e intellettuali viventi, si era laureato in filosofia a Pavia nel 1950, ottiene la cattedra di teoretica alla Cattolica di Milano. I libri pubblicati in quegli anni che negavano il concetto di Divenire entrano in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, suscitando vivaci discussioni all’interno dell’Università Cattolica e nella Congregazione per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio).
La sua opera filosofica, vastissima, è raccolta in una sessantina di volumi. Tra questi “Intorno al senso del nulla”, ritorna a una riflessione importante attorno alla quale ha ruotato tutto il suo pensiero filosofico, a partire dalla sua prima opera, “La struttura originaria” del 1958, fino a “La morte e la terra”, del 2011.
Per Emanuele Severino la lingua è “come una nave che porta con sé le alghe che le si sono attaccate alla chiglia”. In tal senso è forse l’ultimo vero filosofo, perché parla una lingua incontaminata che esprime anche una certa durezza, che non abbassa la fronte davanti a niente e nessuno pur di salvare il linguaggio della filosofia.
Nei numerosi libri pubblicati sin dagli anni ’50, Severino ha mostrato che tutto, anche le cose più insignificanti sono eterne per necessità e la convinzione che tutte le cose escono dal nulla e vi fanno ritorno è la ”follia estrema”. L’uomo ha sempre cercato il rimedio al terrore davanti al dolore e alla morte.
Lo ha cercato con il mito, la poesia e la religione e proprio in questo contesto ha approfondito il pensiero di Eschilo ma anche di Giacomo Leopardi in libri come ‘Il Giogo’ e ‘Cosa arcana e stupenda’. Importantissimi i suoi studi sulla tecnica – la forza suprema destinata a dominare il mondo e alla quale si assoggettano anche le grandi forze della tradizione: cristianesimo, capitalismo, socialismo, umanesimo – fino al suo ultimo libro, ‘Testimoniando il destino” (Adelphi).
Per il suo novantesimo compleanno, Brescia, dove era nato il 26 febbraio del 1929, lo aveva festeggiato con una giornata tra riflessione e teatro. Fulcro dell’evento l’Orestea di Eschilo, che Severino tradusse nel 1985 per Rizzoli e che Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah utilizzarono per la storica messa in scena della trilogia eschilea nel 1986.
Alla traduzione fece seguito Il giogo, il fondamentale saggio sulla figura e l’opera di Eschilo, edito da Adelphi nel 1989. Un cast di 13 attori aveva dato voce ad alcuni dei passi più significativi della trilogia eschilea. L’antologia di passi, selezionata dallo stesso Severino, aveva visto protagonisti alcuni tra i maggiori artisti della scena italiana come Ottavia Piccolo, Graziano Piazza, Federica Fracassi e Fausto Cabra, accompagnati da un coro di 9 giovani attrici e attori.