AgenPress. «Apprendiamo in queste ore, con non poca preoccupazione, di un nuovo pericoloso focolaio di contagi, in un’altra Regione, la Sicilia, da noi attentamente monitorata nelle ultime settimane come una delle più a rischio, insieme a Lazio e Lombardia, per la recrudescenza di infezioni.
Nella centrale operativa di Palermo si sarebbero contagiati almeno 12 operatori sanitari nelle ultime 48 ore: il condizionale sui numeri è d’obbligo, visto che nessuna comunicazione spontanea ed ufficiale ci risulta pervenuta da parte delle Aziende Sanitarie, come del resto è già accaduto anche nel Lazio.
Nelle prossime ore le nostre delegazioni territoriali provvederanno ad inviare richiesta ufficiale per conoscere il numero esatto dei contagiati e le qualifiche di riferimento.
Da nostre indagini preliminari interne, risulterebbe che in questo momento, gli infermieri sarebbero ben 6 tra i soggetti infettati nel capoluogo siciliano, ma potrebbero essere anche di più.
Dal momento che in servizio al 118 ci sono per la maggior parte nostri colleghi, ci chiediamo, con insistenza, cosa stia succedendo esattamente nella sanità italiana. E pretendiamo di sapere se i vertici del Ministero della Salute siano al corrente di questo atteggiamento da parte di talune amministrazioni locali. Insomma, quando c’è di mezzo l’incolumità dei pazienti e degli operatori sanitari, la mancanza di un’informazione spontanea, tempestiva ed esaustiva da parte di talune aziende sanitarie, rappresenta un fatto di estrema gravità».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«I nostri referenti ci riferiscono di aziende sanitarie con un atteggiamento “di incomprensibile chiusura”, e di infermieri che, per l’ennesima volta, hanno paura di parlare e di raccontare quanto accade nelle realtà ospedaliere sotto ai loro occhi.
Il caso di Palermo poi è emblematico: professionisti della sanità che avrebbero scoperto di essere infetti dalla sera alla mattina. Stiamo parlando di persone che dovrebbero essere già state vaccinate, sono davvero pochi i nostri dubbi in merito a questo perchè è troppo bassa la percentuale di quelli che ancora non hanno ricevuto la doppia somministrazione. E perchè gli infermieri italiani credono nell’evidenza scientifica, conseguentemente nell’efficacia del vaccino come strumento principale di prevenzione, prova ne sia il fatto che si sono vaccinati in massa con coscienza e consapevolezza e sono stati i primi, come dipendenti del SSN, ad essere stati coinvolti nella campagna sin dai mesi di gennaio e febbraio.
Forti di questa evidenza, ora tuttavia chiediamo ora di conoscere, perchè direttamente interessati e perchè queste informazioni ci spettano di diritto, quale è la finestra temporale di efficacia del vaccino al quale volontariamente ci siamo sottoposti.
E vogliamo anche conoscere, senza ulteriore indugio, se la copertura immunitaria generata dal vaccino decresce o meno ad un certo tempo dall’avvenuta somministrazione del prodotto. Dobbiamo forse pensare “che per la generalità degli operatori sanitari ” una terza dose non sia ritenuta necessaria da parte dell’AIFA perchè non serve ai fini del mantenimento di livelli di immunità ottimali?
E se così fosse, c’è qualcuno che possa assumersi la responsabilità di rassicurarci sul fatto che l’impennata dei contagi tra gli operatori sanitari, che secondo i dati IIS nei 30 giorni tra luglio ed agosto è passata da circa 250 casi a ben 1951, non sia stata dovuta ad una diminuzione di efficacia del vaccino?
Insomma, noi operiamo quotidianamente in ambienti ad alto rischio e consideriamo un preciso diritto/dovere la tutela della nostra incolumità e, conseguentemente, la tutela dello stato di salute della collettività sociale della quale ci prendiamo cura.
E ancora ci chiediamo, dal momento che, almeno a quanto si legge, non tutti gli infermieri che si sono sottoposti alle prime due somministrazioni potranno ricevere la terza dose, chi sarà incaricato di decidere, perchè anche questa informazione ci manca, sulla possibilità o meno che un infermiere ospedaliero, uno dei circa 267000 colleghi impiegati nella sanità pubblica, palesemente a rischio più di ogni altra categoria di lavoratori, possa e/o debba effettuare o meno la terza dose?
Chi potrà decidere quali altri, tra tali citati operatori, debbano essere esclusi dalla somministrazione?
E cosa succederà se nell’attesa questo infermiere o altri come lui dovessero ammalarsi di nuovo?
In definitiva, qualcuno si assume o meno la responsabilità di dirci, senza mezzi termini, se la terza dose di vaccino serve o non serve, corroborando tale assunto con informazioni precise, esaustive e soprattutto suffragate da evidenze scientifiche?
In attesa di conoscere le informazioni che chiediamo, che beninteso se fornite esaustivamente basterebbero a spegnere sul nascere ogni legittima preoccupazione o dubbio tra gli infermieri, ci preoccupa non poco che l’Aifa, Agenzia del Farmaco, in relazione agli operatori sanitari abbia in mente di agire “caso per caso”.
Peraltro, risulterebbe che gli screening per la misurazione del livello anticorpale, in alcune aziende sanitarie, non vengano effettuati con regolarità. Inoltre in Sicilia i nostri referenti ci indicano che in alcuni enti un operatore sanitario, per richiedere un tampone, pare che debba dichiarare motivazioni ben precise. Ma come è possibile tutto questo? I tamponi non dovrebbero essere effettuati spontaneamente e con cadenza periodica da parte dell’azienda, responsabile per legge dell’incolumità dei propri dipendenti? Quante aziende sanitarie lo fanno? Soprattutto come lo fanno?
Riceviamo addirittura informazioni, che ad ogni buon fine stiamo provvedendo ad approfondire, secondo le quali alcuni dei professionisti che si sarebbero infettati a Palermo, evidentemente all’oscuro delle loro condizioni, avrebbero infettato anche altri colleghi, pazienti e forse anche loro familiari.
Insomma, accadimenti di questo tipo dovrebbero essere immediatamente e spontaneamente comunicati da parte delle singole aziende sanitarie di volta in volta interessate, alle Organizzazioni Sindacali, in primis, per metterle nelle condizioni di attivare tutte le procedure di competenza e per presidiare e tutelare il diritto all’incolumità psico fisica dei lavoratori. E contestualmente alla stampa, atteso il particolare interesse dell’intera collettività sociale, a ricevere una informazione precisa e puntuale per ogni eventuale fatto che possa rappresentare, anche solo potenzialmente, un pericolo per le condizioni di salute e per l’incolumità pubblica»