Giornata mondiale alimentazione: 30% delle famiglie ha ridotto alimenti, quasi 10% non fa pasto proteico

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AgenPress. In Italia, quasi una famiglia su dieci (9,9%) non riesce a permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni, a fronte di una media europea pari all’8,5%. Nel 2024, la quota di famiglie italiane in questa condizione è aumentata di 1,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Questa difficoltà riflette la crescente pressione che l’aumento dei prezzi esercita sui bilanci domestici, in particolare tra i nuclei più vulnerabili: la spesa alimentare rappresenta circa un quarto del budget delle famiglie meno abbienti, e ogni rincaro nei beni essenziali — come cibo, elettricità e gas — si traduce in scelte sempre più difficili tra ciò che è necessario e ciò a cui si può rinunciare.

Circa una famiglia su tre (30%) dichiara di aver modificato la propria dieta, riducendo la qualità o la quantità degli alimenti acquistati: si consuma meno carne e pesce (-16,9%), aumentano gli acquisti nei discount (+9,3%) e l’attenzione verso i prodotti in promozione (+10,6%), con un crescente ricorso ai banchi alimentari, che oggi coinvolgono quasi il 40% delle famiglie italiane.

Sono questi alcuni dei risultati del progetto PRIN 2022 “Food MeaSure: Poverty, Vulnerable Individuals and Sustainable Diets – New Perspectives on Official Statistical Data”, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e coordinato dalla prof.ssa Ilaria Benedetti, docente di Statistica Economica presso l’Università della Tuscia. La ricerca ha coinvolto studiosi e studiose dell’Università della Tuscia, dell’Università di Pisa e di Roma Tre, unendo competenze diverse con un obiettivo comune: misurare per comprendere e comprendere per agire. La conferenza finale, ospitata oggi presso l’Aula Magna del Rettorato in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ha presentato i risultati di un’indagine che integra economia, statistica, nutrizione e sociologia per offrire una misura nuova e scientificamente solida della povertà alimentare in Italia.

Food MeaSure rappresenta – ha dichiarato la prof.ssa Tiziana Laureti, Rettrice designata dell’Università degli Studi della Tuscia – un esempio concreto di come la statistica economica possa trasformarsi in uno strumento di politica pubblica basata sull’evidenza, capace di orientare scelte e risorse verso obiettivi di equità e sostenibilità. Questo progetto dimostra che la misurazione, quando è fondata su dati ufficiali e metodi rigorosi, non è un esercizio accademico ma un atto di responsabilità sociale.

Misurare il costo di una dieta sana e sostenibile. Partendo dai dati ufficiali sui prezzi dei prodotti alimentari, il progetto Food MeaSure ha costruito per la prima volta un dataset mensile del costo di una dieta sana e sostenibile nelle 107 province italiane, con oltre 220 mila osservazioni. L’analisi ha stimato il costo di una dieta equilibrata, distinta per età e genere, incrociando i prezzi di 167 prodotti alimentari con le raccomandazioni nutrizionali nazionali (CREA e LARN) per il periodo 2021–2024.

Con Food MeaSure – ha spiegato la prof.ssa Ilaria Benedetti, Principal Investigator del progetto – abbiamo voluto dare alla povertà alimentare una definizione più ampia e una misurazione più precisa, capace di coglierne le molte dimensioni economiche e sociali. L’obiettivo non era solo descrivere un fenomeno, ma rendere visibile ciò che spesso resta invisibile, fornendo strumenti utili a chi deve progettare politiche pubbliche più mirate ed eque. È una ricerca che dimostra come i dati, quando vengono letti con sguardo interdisciplinare, possano diventare un motore di comprensione e di cambiamento“.

Differenze territoriali e costi delle diete. I risultati mostrano forti differenze territoriali: il costo medio mensile di una dieta equilibrata per un adulto si aggira intorno ai 170 euro, con valori inferiori a 150 euro nelle province del Sud e superiori ai 200 euro nelle aree metropolitane del Nord. Per bambini e adolescenti, la spesa varia da 60 a 100 euro, mentre per gli anziani si attesta intorno ai 160 euro, con un aumento nei mesi invernali a causa della stagionalità e della filiera di approvvigionamento.

 “In un contesto in cui la conoscenza statistica è indispensabile per interpretare la complessità economica e sociale del Paese – conclude la Prof.ssa Laureti – la ricerca universitaria svolge un ruolo strategico: fornire strumenti solidi per comprendere le disuguaglianze e contribuire, con competenza e visione, alla costruzione di politiche più giuste. È questa la missione più autentica dell’università: produrre conoscenza utile, capace di generare valore collettivo e futuro per l’Italia.

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