AgenPress. La struttura, l’equilibrio demografico di un Paese riflettono il progetto di vita che lo connota. Sono l’immagine della libertà dei suoi cittadini nel definirne il futuro. Sono il termometro, talvolta, di atteggiamenti che portano lo Stato ad assumere il suo popolo non come la base costitutiva della comunità bensì come elemento di affermazione.
In uno Stato democratico – come la nostra Repubblica – i temi della natalità si caratterizzano, in altri termini, come espressione alta del dovere delle strutture pubbliche di porre i cittadini nella condizione di esprimere in piena libertà, come è stato detto poc’anzi, la loro vocazione alla genitorialità, nell’interesse del bene comune.
Ciascun popolo, ciascuna comunità sa bene che la continuità si manifesta nel succedersi delle generazioni. E il livello di sostituzione, di avvicendamento che le accompagna è conseguenza del modello di società che si sarà concorso a costruire. È un tema vitale per il nostro Paese e per l’intero continente europeo.
Gli squilibri demografici producono mutamenti, crisi degli assetti pre-esistenti e incidono sulle relazioni umane, sulla vita di comunità, sui modelli culturali, sulle aspirazioni delle cittadine e dei cittadini.
La nostra società invecchia – e va ascritto, come è stato ricordato poc’anzi, come un successo che aumentino i tempi della vita, ma, al tempo stesso, non si rigenera, o lo fa soltanto parzialmente. I giovani sono pochi. Come mai è avvenuto nella storia passata, salvo forse soltanto dopo guerre devastanti e per aree specifiche. Inoltre, con disallineamenti che fanno riflettere.
Per secoli, se non per millenni, vi è stato uno stretto rapporto tra le risorse di un territorio e l’incremento della popolazione, così come i millenari fenomeni migratori si sono nutriti, fin dall’antichità, di questo rapporto. Oggi, appare addirittura capovolto, contraddittorio: laddove i consumi privati appaiono più alti, si riscontra minore generatività.
Una constatazione che induce a riflettere sui valori che possono caratterizzare i vari consorzi umani alle diverse longitudini. Gli effetti strutturali degli squilibri sono noti su tutti i terreni: quello sociale, del sistema di Welfare; quello economico-occupazionale. Sono questioni che attengono anzitutto ai beni immateriali della comunità, al suo grado di civiltà, di coesione sociale.
La natalità, la generazione dei figli, disse Papa Francesco parlando, abbiamo visto, all’edizione degli Stati generali di due anni fa, “è l’indicatore principale per misurare la speranza, la speranza di un popolo”. Parole che devono far riflettere. È la vita, è il futuro, che rischiano di venire toccati, ridimensionati.
Sono beni non misurabili con cifre, come lo è il Pil, dai quali però dipendono la qualità e l’energia del nostro vivere, il nostro rapporto con il presente e con il domani, la percezione della sicurezza e quella della precarietà.
Sull’apertura alla vita si fondano valori umani che sono decisivi per costruire coscienze libere e pensare – ripeto – al bene comune. Il tema delle nascite importa fattori culturali, sociali, antropologici che contribuiscono a chiudere nel presente gli orizzonti personali e sociali.
Il decremento delle nascite, il calo di popolazione, incrociano la questione dei territori e sono le aree interne, soprattutto nel Sud e nelle Isole, a subire gli effetti del declino demografico: tra il 2014 e il 2024, Istat segnala che la popolazione dei Comuni periferici è diminuita di oltre il 6% e quella dei Comuni ultra periferici, di quasi l’8%.
Il “rinnovo generazionale debole” – che viene messo in luce qui quest’oggi – inciderà sulla sostenibilità dei conti pubblici, oltre che sulla coesione intergenerazionale.
È positivo che le istituzioni del Paese si siano posti l’interrogativo di come trasformare la consapevolezza dell’esistenza di un problema in azioni: il lavoro della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica mi auguro che possa essere utile allo scopo.
Il ruolo delle pubbliche istituzioni non è affatto indifferente, così come lo è la vitalità del tessuto economico. Condizioni adeguate di retribuzione e sviluppo dei servizi sociali consentono orizzonti di vita nei quali è possibile orientare le proprie scelte verso la gioia di avere figli e non verso la rinuncia ad averne. È stato poc’anzi ricordato.
Entra qui un’altra contraddizione. In una società centrata sulla velocità, sul tempo reale, i giovani – e non per loro responsabilità – vengono messi in condizione di rischiare di essere in costante ritardo. Ma non è loro responsabilità.
In ritardo nel trovare una occupazione stabile.
In ritardo nel rendersi autonomi dalla famiglia di origine.
In ritardo nell’avere accesso a una propria abitazione.
In ritardo nel mettere su famiglia.
In ritardo anche nell’avere figli.
Queste condizioni sfavorevoli sono state ben descritte, poc’anzi, negli interventi che abbiamo ascoltato.
Parliamo delle difficoltà della precarietà e dei bassi redditi, dell’ardua impresa di accesso a una abitazione nelle aree urbane, dalle carenze dei servizi che rendono difficile conciliare i tempi del lavoro con quelli della vita familiare e con la cura di familiari in età avanzata.
La generatività ha valore umano e ha valore sociale. È la società nel suo insieme che deve comporre un ambiente favorevole e assicurare piena libertà, come è stato ricordato dal Presidente De Palo, di poter avere dei figli.
È il senso di una coscienza collettiva, capace di sviluppare reti di solidarietà.
È un dibattito che appartiene interamente al discorso pubblico.
È un dovere che ci viene indicato dall’art. 31 della Costituzione, vale la pena rileggerlo:
“La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Questo l’articolo 31.
Sono ben note le difficoltà della struttura produttiva italiana per quel che riguarda la carenza di manodopera specializzata e non è certo questione che si risolve con misure dell’oggi.
È utile osservare che affrontare i temi della natalità nel nostro Paese non è in contrapposizione con l’integrazione dei migranti, lo ha detto poc’anzi il Presidente De Palo.
Vorrei riprendere questo tema: l’integrazione dei migranti e delle loro famiglie, che con il loro lavoro contribuiscono, spesso, è un lavoro di cura, contribuiscono al benessere della nostra comunità.
Si tratta da parte loro di un contributo prezioso. Occorre aiutare la vita a sbocciare e porre le persone al centro degli interessi della comunità. Per questo la vostra riflessione è importante: non siamo condannati al declino. Il nostro domani è nelle nostre mani.
Il nostro futuro, quello delle nostre famiglie, della nostra società, è parte del nostro presente, perché il suo concretizzarsi è frutto delle scelte che compiamo oggi e una società consapevole che sa accogliere la vita, sa accogliere le persone, è fin d’ora una società più forte.
