Caso David Rossi. La sua morte non fu “suicidio ma omicidio”

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AgenPress. Oggi molti — familiari, esperti e inquirenti — sostengono che la morte di David Rossi non fu suicidio ma omicidio.

David Rossi era il capo della comunicazione di Monte dei Paschi di Siena. Nella sera del 6 marzo 2013 fu trovato precipitato dalla finestra del suo ufficio nella sede di Rocca Salimbeni (Siena), al terzo piano.
Le prime inchieste e la decisione iniziale della magistratura conclusero per il suicidio — in particolare la giudice per le indagini preliminari e poi il gip, nel 2017, archiviando il caso. A supporto della tesi del suicidio fu portato anche un messaggio di addio attribuito a Rossi.

Tuttavia, nel corso degli anni sono emersi seri dubbi — da parte della famiglia, di esperti indipendenti e di una commissione parlamentare — su molte incongruenze nella ricostruzione ufficiale.

Negli ultimi mesi il caso è tornato di stretta attualità grazie a nuove perizie e a un ennesimo approfondimento tecnico: un ingegnere forense, esperto di “virtual crash”, ha realizzato una simulazione digitale con un manichino antropomorfo calibrato sulle misure reali del corpo di Rossi. Il risultato — come riportato da un servizio della trasmissione Le Iene — metterebbe in forte dubbio l’ipotesi del suicidio. Secondo la ricostruzione, si sarebbe trattato di omicidio: “trattenuto e poi lasciato cadere”.

La nuova perizia, illustrata recentemente dalla commissione parlamentare d’inchiesta bis, descrive come le lesioni sul polso sinistro di Rossi — la cassa e il cinturino dell’orologio — non siano compatibili con una caduta spontanea. L’orologio, secondo la ricostruzione, sarebbe caduto prima, poi il cinturino: un dettaglio tecnico che rafforza l’ipotesi di un tentativo di spostarlo o trattenerlo.
Gli esperti sostengono che Rossi potrebbe essere stato “sospeso nel vuoto” fuori dalla finestra, tenuto per polsi/braccia, e poi rilasciato: quindi non un gesto volontario.

“Le ferite al polso e l’esame del video mostrano come l’orologio non fosse più al polso al momento della caduta… di fatto non si può più parlare di suicidio.”

Secondo l’esito di queste ultime analisi, oggi la pista prevalente indicata dalla commissione parlamentare è l’omicidio — o comunque una morte violenta conseguenza di un reato — e non un suicidio volontario.

I motivi per cui inizialmente si concluse per suicidio: i biglietti di addio ritrovati nell’ufficio di Rossi erano stati interpretati come una confessione di disperazione e angoscia.
Anche le lesioni sui polsi e gli esami eseguiti subito dopo la morte furono valutati come compatibili con un gesto autolesivo o un tentativo di difesa. Eppure, con il passare del tempo, emersero contraddizioni e zone d’ombra: i parenti — in particolare la moglie e la figlia — sin dall’inizio hanno contestato l’idea del suicidio, denunciando incongruenze nei tabulati, nei messaggi e nelle ferite trovate.

La relazione di una commissione parlamentare del 2022 rilevò che le lesioni sul corpo non erano “pienamente compatibili” con la tesi del suicidio. Essenzialmente: la nuova perizia e le simulazioni aggiornate — tenendo conto della meccanica del corpo, del cadavere, delle lesioni e del contesto — suggeriscono che quanto definito suicidio potrebbe essere stato una ricostruzione superficiale, quasi automatica, chiusa troppo presto. Oggi la scienza e la fisica — non solo l’ipotesi — tornano a porre seri dubbi su quella versione.

Alla luce delle nuove evidenze: la famiglia di Rossi — che da anni chiede verità — contesta l’archiviazione decisa a Siena, e chiede la riapertura del caso da parte di una procura “coraggiosa” diversa da quella che ha già indagato.
La commissione parlamentare d’inchiesta bis, confrontando perizie, video, simulazioni e nuove acquisizioni dei Ris, ha deciso di puntare sulla pista dell’omicidio o comunque di una morte violenta riconoscendo seri elementi a supporto.
La conclusione — che non fu suicidio, ma omicidio — getterebbe nuova luce non solo sulla tragedia personale, ma su una vicenda che riguarda scandali bancari, poteri forti, coperture, possibili coinvolgimenti di criminalità organizzata (come già ipotizzato in passato).

A più di dodici anni da quella tragica notte del 6 marzo 2013, il caso di David Rossi vive oggi un momento cruciale. Le prove tecniche — simulate in 3D, analizzate con rigore — mostrano che la versione “suicidio” non regge sotto il peso della biomeccanica, delle lesioni e dei riscontri scientifici. Molti segnali adesso indicano una morte violenta, probabilmente un omicidio.

La richiesta di verità non è più solo dei familiari: è sostenuta da perizie, da una commissione parlamentare e da un’esigenza di giustizia che sembra finalmente essere tornata al centro dell’attenzione.

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