AgenPress. Grazia Deledda aveva una collaborazione stretta con la cultura durante il ventennio fascista. Addirittura la sua partecipazione alla commissione per la selezione dei libri di Stato per le scuole elementari (era il 1929, era già Nobel della Letteratura) può essere certamente inquadrata come intervento per il “regime di garanzia”.
C’è da dire che se una scrittrice, come la Deledda, non condivida fino in fondo un percorso culturale assume un atteggiamento di distacco e non di coinvolgimento e collaborazione tramite l’assunzione di un ruolo istituzionale come può essere la scelta dei libri di Stato per le scuole elementari. Questi sono fatti risaputi, ai quali non viene attribuita la debita importanza. Bisognerebbe, invece, analizzarli attentamente al fine di una più approfondita e attendibile conoscenza del personaggio Deledda.
Grazia Deledda non è soltanto tradizione popolare, linguaggio, narrativa. È riferimento educativo.
Benito Mussolini, pur avendo avuto con lei pochi legami, l’ha sempre considerata una grande scrittrice. In una sua dichiarazione la considera più grande di D’Annunzio.
Se non fosse per pochi scrittori, dirà Mussolini, come Pirandello, Antonio Beltramelli, la Deledda, la letteratura italiana non avrebbe avuto una sua definizione nazionale ben precisa. Nel 1930 e poi 1931 venne incaricata di scrivere un libro per la terza classe delle elementari. La Deledda accetta senza riserve.
Un fatto indicativo in quanto, in una stagione in cui la cultura veniva controllata (come si è sempre detto) parlare di Grazia Deledda, all’interno di questi legami, pur non significando una condivisione totale, si deve naturalmente parlare di una vicinanza.
Infatti nel suo testo per le Scuole Elementari, terza classe, si legge:
“La mattina del 28 ottobre i fascisti avanzarono e entrarono in Roma, perché Roma è la testa dell’Italia, che dopo la sua splendente vittoria nella Grande Guerra era rimasta senza testa.
– Chi gliel’aveva tagliata? – domandò Cherubino.
– I comunisti.
– Io ho sentito parlare dei comunisti, ma non so che cosa siano – disse Cherubino.
– Fa conto: Tu copi il problema di aritmetica che ha svolto Sergio con fatica. Ecco che sei un po’ comunista”.
La Deledda non tema alcuna accusa. Anzi accoglie con entusiasmo di scrivere un libro per le elementari.
Nel 1927, invece, nelle pagine del romanzo “Annalena Bilsini” (pagine considerate minori, ma che rilette oggi evidenziano uno spessore significativo al fine di creare e sfatare il discorso tra letteratura e potere, tra letteratura e ideologia) Grazia Deledda scrive una frase destinata a divenire storica:
“Da noi non succedono più queste cose. Da quando c’è lui, tutti si vive in pace”.
È naturale che quel “lui” rimanda a Benito Mussolini.
Siamo all’interno di un discorso che ci avvicina a Corrado Alvaro, quando nel 1930 faceva le Cronache dell’Agro Pontino e pontificava in favore di Benito Mussolini scrivendo frasi come questa: Anche se le giornate sono ombrate, lui al balcone ha la capacità di far sorgere il sole.
Ormai dobbiamo ragionare con i documenti, con i fatti e non più con le parole. Esistono episodi importanti a supporto di questo discorso. Faccio un altro esempio. In un incontro tra Grazia Deledda e Mussolini, allora capo del governo, la scrittrice sarda chiese informazioni riguardanti un confinato di Nuoro, un suo concittadino di nome Elias Sanna, sottolineandone l’onestà e garantendo per lui.
Dopo pochissimi giorni da quell’incontro, Elias Sanna fece ritorno a Nuoro e in una visita all’amica Grazia Deledda a Roma, si dimostra diffidente per quell’improvviso rilascio. La Deledda lo rassicura, pur non esplicitando il suo rapporto con Mussolini. Soltanto tempo dopo, Elias Sanna verrà a conoscenza del fatto che a favorirlo fu proprio la richiesta di Grazia Deledda a Benito Mussolini.
Tutto questo si intreccia, in quegli anni, a un discorso comparato tra linguaggio, letteratura e rapporti personali. Ieri come oggi. Oggi come ieri. Di certo Mussolini non la considerava antifascista, se il 14 marzo del 1945, durante il periodo di Salò, invia a Claretta Petacci in dono un libro di Grazia Deledda accompagnandolo con la seguente scritta: “Ti mando un bellissimo romanzo della Deledda”.
Ragioniamo con serenità. Se non avesse nutrito nei confronti di questa straordinaria scrittrice una grandissima stima, considerandola una oppositrice al regime, non avrebbe mai inviato in dono a Claretta Petacci un suo romanzo. Non c’è dubbio, quindi, che avesse nei suoi confronti una notevole considerazione. Nel rapporto con Grazia Deledda, Mussolini cercò di cogliere la peculiare tipologia della sua scrittura, perché in lei aveva ravvisato l’incipit di un grande processo di innovazione anche rispetto ad Ada Negri.
Pierfranco Bruni