AgenPress. Secondo l’Istat, il 2025 chiuderà con una crescita delle retribuzioni pro capite del 2,9%, consentendo come nel 2024 un recupero rispetto all’inflazione, ma a settembre 2025 sono ancora inferiori in termini reali dell’8,8% rispetto ai livelli registrati a gennaio 2021.
“Una vergogna! Non si capisce perché non si voglia affrontare questo problema irrisolto del Paese. Basterebbe ripristinare la scala mobile all’inflazione programmata, da applicare nel caso i contratti non siano rinnovati tra le parti in un tempo ragionevole di 2 anni e per chi ha un reddito inferiore a 35 mila euro” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
“Quanto al recupero nel 2025 rispetto all’inflazione, da tempo denunciamo che si tratta di un dato fuorviante. Insomma, non è che adesso il problema è risolto e ci trasciniamo gli errori del passato. I rinnovi contrattuali che si fanno attualmente, dai medici agli insegnanti, sono relativi ai contratti nazionali di lavoro 2022-24, quindi non si possono confrontare con l’inflazione del 2025. Se il tempo medio di attesa di rinnovo per i lavoratori con contratto scaduto è pari a oltre 2 anni, il raffronto va fatto con l’inflazione di quegli anni. Nel 2023, ad esempio, l’indice Nic era pari al 5,7%, nel 2022 addirittura dell’8,1%. Quindi, anche i rinnovi attuali non coprono l’inflazione patita” conclude Dona.
