L’incipit del cinema italiano in America
AgenPress. Ci avviamo verso il centenario della morte di Rodolfo Valentino. Nato a Castellaneta il 6 maggio 1895 e morto a New York il 23 agosto 1926. Mi ero occupato anni e anni fa di Rodolfo, soprattutto del poeta, ma anche del cinema muto sino al cinema sonoro degli anni Trenta. Poi, dal bianco e nero al primo cinema colorato. Comunque Rodolfo Valentino!
Il cinema muto. Il bianco e nero. Tra il deserto e gli sceicchi. Gli amori travolgenti che sembravano vele di carta. Il cinema nascente. Ovvero ciò che sarebbe diventato il cinema tra America, Parigi e Roma. Il cinema che in Italia darà vita ai “telefoni bianchi”. La gestualità, lo sguardo, il silenzio vero e le parole non ascoltate ma captate o lette. Insomma una storia di linguaggi e di immagini.
Qual è il linguaggio poetico di Rodolfo?
L’amore, la passione, il sentimento. Sono tre caratteristiche vitali non solo nell’esistenza, ma anche nella poesia di Rodolfo Valentino. Poesie. L’amore, la passione e il sentimento. Sogni ad occhi aperti. Un bel tracciato che ci fa viaggiare tra gli scogli dell’io e tra le rimembranze che hanno sapore di antico. Un poeta, certamente. Un poeta che ha saputo legare le radici mediterranee con la civiltà americana. Le rimembranze sono i suoni di una conchiglia nel tempo dei ricordi.
Rodolfo Valentino, il mito del cinema che è espressione di sguardi, di modelli gestuali, di assonanze liriche in cui la danza e le movenze del corpo sono modelli espressivi. Il simbolo che ha proiettato la cultura estetica della gestualità nel sogno dell’immagine. Il suo immaginario continua a vivere in un rapporto che è singolare tra cinema, letteratura e linguaggio poetico. I sogni sono un intreccio tra il suo apparire e il suo essere. Quei “sogni ad occhi aperti” sono un viatico nelle età del suo vivere, del suo breve vissuto. E nei sogni ondeggiano sempre le ombre. Quelle “ombre – grigio simbolo di una fede spezzata”.
Che cinema avremmo avuto senza letteratura o, meglio, che cinema ci sarebbe stato se la letteratura non fosse entrata nella celluloide? Questo è uno dei quesiti importanti ai quali bisognerebbe trovare una sistemazione critica non solo dal punto di vista scientifico, ma anche letterario. Ebbene, Rodolfo Valentino, che non è solo il mito della celluloide o del belletto proiettato attraverso le immagini, rappresenta un tratto di unione tra la proiezione delle immagini e la parola.
Non bisogna dimenticare che Valentino è l’attore non solo de I quattro cavalieri dell’Apocalisse del 1921, in cui il fascino latino è ben rappresentato, o di Sangue e arena del 1922, o ancora de Il figlio dello sceicco (1926).
È l’attore che ha portato a una chiave di lettura Balzac e Dumas figlio. Infatti, è stato l’attore de La commedia umana (1921) tratto dal romanzo Eugénie Grandet di Balzac. Ed è stato il protagonista maschile del film Camille (1921), di sua produzione, tratto dal testo di Dumas figlio, e de La signora delle camelie (1921). Quindi il Rodolfo Valentino, mito dell’immagine dell’eros, dell’ambiguità della bellezza, del fascino esoterico, è un personaggio vissuto dentro il rapporto tra cinema e letteratura, senza mai dimenticare l’incontro con la poesia. Rodolfo Valentino ha scritto poesie, versi nei quali si lasciano ascoltare le malinconie e i suoni di una giovinezza, ma anche gli echi di una profonda malinconia. La malinconia dell’essere e del tempo. È proprio vero che la giovinezza si misura sempre con il tempo. Ed è proprio vero che “Valentino possedeva una forte inclinazione verso la poesia e la condizione esistenziale del poeta”. Così scrive Paolo
Orlandelli.
Rodolfo Valentino, nato appunto a Castellaneta nel 1895, muore nel 1926 a New York. Lascia la sua città nel 1913. Uno dei suoi primi film risale al 1918.
Sostanzialmente il percorso di questo attore-poeta (sì, perché anche di poeta si tratta, in quanto ha lasciato una bella raccolta di versi che si legge come un racconto lirico di un pensiero estetico rivolto alla bellezza, alla memoria e al tempo) va da quella cultura ben radicata nella Puglia mediterranea (Castellaneta è centro di cultura mediterranea, con la sua storia territoriale, geografica e marina) sino a quel grande mare che è l’oceano. Rappresenta, in altri termini, il percorso di una mediterraneità all’interno di una America ben profondamente occidentalizzata e italianizzata. Ma il mito greco di Valentino è un mito esoterico, è un mito in cui le muse e le dee sono elementi sentimentali ben radicati nell’essere mediterraneo.
Nella presentazione di un libro di Chicca Morone e di Miredi dedicato a Valentino, Giuseppe Conte, nell’introduzione, sottolinea: “Valentino, arrivato in America da una terra che è dirimpetto alla Grecia, trasforma il suo Pan in Penna Nera, scegliendolo come spirito guida, per rientrare, forse, in quella dimensione dell’essere in cui ciascuno sente in sé l’intera energia dell’Universo”. Una chiave di lettura estetizzante che ripropone il mito tragico dell’assenza-presenza di un tempo perduto che segna tracciati di morte e di vita. È come dire, nel pathos di una malinconia generale, che Eros e Thanatos non si consumano ma si intrecciano. Questo personaggio-mito, che sembra uscire da uno dei “sette colori” di Robert Brasillach, resta nel vento di una giovinezza mai usurata, perché per chi muore giovane la morte non esiste, in quanto è il tempo che la uccide e non viceversa. Proprio come nel racconto dell’immortalità ellenica tra le muse e le dee. Non si scende nel gorgo muto caro a un’altra giovinezza troncata, come Cesare Pavese, ma si resta nell’armonia-disarmonia di un tempo che non smette di raccontarsi.
E il cinema, questa macchina delle finzioni e della fantasia, non è un trucco, ma è come se fosse un fantasma che sblocca l’istante. Il cinema ha bloccato l’istante di Valentino e ce lo ripresenta costantemente nella sua bellezza, nella sua apparenza mitico-temporale. Se dovessimo penetrare queste storie che vivono dentro il rapporto tra cinema e tempo non si potrebbe non ripensare o non riconsiderare la figura di Rodolfo Valentino nella sua straordinaria esuberanza accanto a quella di Marylin Monroe, pur a distanza di decenni. Ma con Valentino eravamo al cinema iniziale, al pre-cinema, dove la parola era lo sguardo, il gesto, il corpo, e tutto questo insieme era comunicazione. In fondo il cinema che si racconta con la sua critica e con la sua estetica trova in Rodolfo Valentino quel protagonista al di là di ogni recita. Resta il fatto, comunque, che in quegli anni cruciali l’attore aveva saputo ben impersonare quelle maschere pirandelliane e dannunziane che successivamente sono state dei riferimenti per un cinema che superava l’ambiente e la realtà, per conferire alla sensualità e alla bellezza il racconto più profondo. Credo che la figura di Rodolfo Valentino vada rivalutata proprio in virtù di queste motivazioni.
Un attore è un personaggio di trasporto non solo in termini di fisicità, ma anche sul piano culturale. Quei suoi film sono il portato storico di una cinematografia che ha condizionato generazioni, ma nello stesso tempo sono l’esperienza di un cinema che non può, soprattutto in quegli anni, senza un confronto reale con la costruzione dei miti e con un dialogo che può nascere soltanto dai “paesaggi” della letteratura, confrontarsi con la recita costante delle immagini.
Valentino tra forme e fantasie, un mito che continua e che resta in quell’incontro americano che tanto deve alla cultura mediterranea. L’amore resta comunque al centro di un’ispirazione che è attraversata da una costante malinconia. Così: “Tu sei la Storia dell’Amore e la sua Giustificazione. / Il Simbolo della Devozione”.
Ma ciò è un dettaglio importante, anzi un dato peculiare, nel quadro di ciò che è stato Valentino nell’immaginario delle culture. Il cinema di quel tempo è quello nato anche tra Pirandello, d’Annunzio e il legame tra letteratura e teatro.
Pierfranco Bruni