Pescatori in Libia. “Fateli tornare a casa”. Madri e mogli incatenate a Montecitorio

AgenPress – “A 37 giorni dal sequestro in Libia, non sappiamo nulla dei nostri pescatori: siamo disperati. Alcuni hanno bisogno di cure, di farmaci, sono diabetici”. Sono sconfortate le parole che l’armatore trapanese Leonardo Gancitano pronuncia durante l’intervento in diretta a Tgcom24. “In concreto non abbiamo notizie, ci sono 18 famiglie allo sbando”, ha aggiunto. Nel frattempo i parenti degli uomini trattenuti da Tripoli hanno manifestato a Roma, davanti a Montecitorio.

Fateli tornare a casa“, è il grido delle madri, delle mogli e delle figlie dei pescatori di Mazara del Vallo sequestrati in Libia. Le donne, incatenate in segno di protesta a Montecitorio, chiedono aiuto per i loro familiari che dal primo settembre sono bloccati a Bengasi, dopo l’arresto in alto mare da parte della guardia costiera libica.

Tra le signore in protesta c’è anche Rosetta, 73 anni, che chiede disperata il rientro del figlio. “Portateci presto questi figli, questi mariti e questi padri a casa – piange Rosetta che aggiunge – noi non ce la facciamo più“. “A questo problema – spiega invece la moglie di un altro dei pescatori siciliani – si aggiunge il fatto che siamo senza stipendio. Ci sono utenze, e affitto da pagare“, conclude la donna.

Il 1° settembre, a poche ore di distanza dall’incontro tra Luigi di Maio e Fayez al Serraj, capo del governo libico, il peschereccio “Antartide” veniva sequestrato insieme al “Medinea” nel porto di Bengasi, perché entrati in acque libiche. Le imbarcazioni, provenienti da Mazara del Vallo (Trapani), avevano a bordo rispettivamente dieci e sei membri dell’equipaggio. A compiere il sequestro la Marina di Haftar, che è ancora a capo dell’autoproclamato esercito libico dell’Est del Paese.

Il Ministero ha più volte ribadito attenzione sul caso, mentre dalla Libia venivano avanzate richieste di scambio di prigionieri. La proposta, giunta intorno al 15 settembre, aveva come obiettivo la scarcerazione di quattro uomini condannati in Italia a 30 anni per traffico di essere umani e l’omicidio di 49 migranti. Il ministro Di Maio ha sottolineato più volte il suo impegno della liberazione dell’equipaggio. Ha sentito le famiglie, il sindaco di Mazara del Vallo e gli armatori, oltre al suo omologo emiratino e il ministro russo Lavrov. “Non accettiamo ricatti, i nostri concittadini devono tornare a casa”, aveva pertanto risposto a Tripoli.

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