AgenPress. Il Grande Gioco del Ventunesimo secolo: interessi energetici, geopolitici e strategici al di là della calotta polare. Una partita internazionale che corre di pari passo all’emergenza ambientale.
L’aspetto generale è quello di un Risiko. Con regole troppo labili perché una semplice strategia sanzionatoria riesca a indirizzare il tutto su nuovi binari. O meglio, le porzioni di tubatura. E pensare che il contesto artico, fino a qualche anno fa, non rappresentava altro che un’eco lontana di un passato nemmeno troppo distante di ricerca ed esplorazione. Niente di più che il riverbero gelido del soffio di Borea. Oggi la posta in gioco è alta, e non solo per la questione Nord Stream 2, che pure infiamma gli scenari geopolitici del Nord del mondo quasi quanto le escalation di violenza scaldano il Mediterraneo sud-orientale. La partita, forse quella vera, si sta giocando nel Grande Nord, dove la corsa alla miglior fetta di Artico è iniziata da un pezzo, in barba al ghiaccio che scompare e alla riduzione dello spazio vitale per chi lo abita. In ballo c’è la sfida energetica, e dentro sembrano destinati a finirci tutti. Tutti quelli che potranno partecipare al Grande Gioco del Duemilaventi.
Il Grande Gioco
Tournament of Shadows. Il nome fu calzante nel secolo XIX, quando al Russia non guardava ancora così in alto, e il Regno Unito era un potenza coloniale nel pieno del fervore effimero dell’imperialismo prima e dell’Età Vittoriana poi. L’est affascinava, l’Asia centrale rappresentava il teatro perfetto per spartirsi influenze reciproche nei territori coloniali, con obiettivi diversi che nemmeno la resa dei conti di Balaklava riuscì a fermare. Ci volle praticamente un secolo perché le parti si mettessero d’accordo, quando l’ingranaggio che avrebbe portato alla Grande Guerra era già avviato verso l’inesorabile inceppo. La sfida per il Grande Nord probabilmente tutto questo tempo non ce l’ha. L’urgenza di spartirsi l’Artico come ci si spartì l’Africa fa i conti con la fugacità dell’era moderna, e soprattutto con il progredire di un’emergenza climatica che, se da un lato apre le vie alla zuffa neo-coloniale, dall’altro rischia di far pagare uno scotto ben più grande di una mancata fetta di territorio da sfruttare.
Questione di gas
Il Nord Stream 2 è parte di quella zuffa. La via d’accesso di Putin al cuore dell’Europa, sotto la superficie del Baltico, dritta alla porta settentrionale del Continente. Una breccia che garantirebbe qualcosa come 55 miliardi di metri cubi di gas naturale in un solo anno, un approvvigionamento che, posto il Nord Stream 1 in funzione dal 2012, renderebbe di fatto la Russia il vate del rifornimento energetico in Europa. Con partner privilegiato Berlino naturalmente, già destinatario (dati Ispi) di 60 miliardi di metri cubi di gas sui 200 immessi da Mosca sul suolo europeo nel 2018. E le sanzioni Usa (Paese da sempre contrario al secondo pezzo di Nord Stream) rientrano in una strategia precisa, con la quale inficiare sul piano russo di arrivare direttamente in Europa senza passare dall’Ucraina. Il tutto mentre il corridoio caucasico punta a cominciare il proprio approvvigionamento praticamente in contemporanea alla prevista data di entrata in funzione del Nord Stream 2 (fine 2020).
Artico e Nord Stream
A pesare sul Nord Stream, oltre alle sanzioni americane (di effetto comunque limitato rispetto alla capacità russa di procedere alla posa dei pezzi che mancano), la normativa europea che impone ai gestori (Gazprom in primis) di concedere l’accesso a società terze, dopo aver affidato la supervisione della nuova direttiva allo Stato in cui avviene la prima interconnessione. La Germania appunto, visto l’attraversamento dello Strema di acque internazionali prima di sboccare nel corridoio tedesco. Una variabile abbastanza rilevante, considerando che la stessa Gazprom si è rivolta al regolatore tedesco chiedendo una deroga alle normative europee. La questione, a ogni modo, non dovrebbe influire sul progetto finale, considerando la manciata di chilometri che ancora manca per il completamento del Nord Stream 2 (ormai irrisoria). Il che, di fatto, porrebbe Mosca e Bruxelles su uno stallo che verrebbe risolto solo in una seconda fase, quello dell’approvvigionamento del gas. Uno scenario non distante e che andrebbe a riguardare la domanda energetica sull’intero suolo europeo, anche in virtù dell’emergenza coronavirus che, di per sé, ha rimescolato le carte dei bisogni e delle necessità.
La sfida del Nord
Ma il Nord Stream è solo una branca della piovra. Lo scenario Artico costituisce il tavolo del Grande Gioco del terzo decennio del Duemila. spettatore inconsapevole dei secoli di evoluzione della civiltà e, suo malgrado, terreno di spartizione che vede nella sfida energetica, marittima, estrattiva e ambientale il banco di prova dell’antropocene. Una partita che corre veloce, praticamente quanto l’arretramento del ghiaccio boreale e dei territori ancestrali degli inuit e degli altri popoli del Grande Nord. Come spiega Marzio Mian, autore di Artico – La battaglia per il Grande Nord, nel Polo settentrionale della Terra “la pressione globale trasformerà le Nazioni polari in aree di frenetiche attività, di maggiore valore strategico e di sempre più grande importanza economico-finanziaria. Motore economico del Pianeta”. E non solo per il secondo pezzo dello Stream russo. Il rischio è che la corsa neocoloniale corra più velocemente della presa di coscienza sull’emergenza socio-ambientale dei territori artici, laddove uno sviluppo sostenibile sarebbe stata la scelta più saggia, oltre che la più logica, per un territorio vergine. Ma non per il Grande Gioco.