AgenPress. Nella mitologia greca Dike era la dea della giustizia, Tyche quella della sorte. In questi giorni sembra porsi una questione tra giustizia e sorte nel destino delle persone migranti verso l’Europa.
Nell’Europa silente, l’Italia si misura con la questione che la giustizia non sia offesa dalla sorte e che quindi gli obblighi di tutela dei diritti delle persone e di controllo di chi fa ingresso sul territorio possano essere tenuti insieme nelle azioni dei pubblici poteri.
L’Italia non può impedire che le operazioni di salvataggio giungano a conclusione con lo sbarco delle persone soccorse in mare, né può respingerle collettivamente.
Ogni persona deve essere considerata nella propria individualità e accolta se bisognosa di protezione.
Così richiedono gli obblighi internazionali, le precedenti chiare posizioni delle nostre corti e la fisionomia umana e civile del nostro Paese.
Il tempo di permanenza a bordo senza possibilità di approdo rischia di configurarsi come una situazione di privazione della libertà de facto che il Garante nazionale ha l’obbligo di valutare nell’esplicarsi di tutti i suoi possibili effetti.
A queste valutazioni non può non accompagnarsi l’auspicio che il principio di solidarietà tra i Paesi europei e la responsabilità collettiva dell’accoglienza siano non solo valori condivisi ma una reale strategia comune di azione.
Il Garante nazionale chiede quindi che si proceda in tale direzione perché la sorte non prevalga sulla giustizia.