AgenPress. In vita Benedetto XVI non aveva avuto quei riconoscimenti che, invece, oggi commentatori, stampa, un mondo variegato e ondulante della cultura, gli stanno riservando. Tutto ciò è comprensibile. Allora ci fu un fatto eccezionale: le dimissioni di un Pontefice.
L’annuncio del Suo ritiro ebbe l’effetto di una deflagrazione. Ratzinger disse che il governo della Chiesa era per Lui, per via dell’età, un peso gravoso e auspicava che nuove energie potessero guidare la Chiesa. Una storia, quella di Benedetto XVI, ricchissima di contributi culturali lungo il percorso tracciato dal Concilio Vaticano ll.
Eppure l’opera di Benedetto XVI è stata vittima della pochezza delle analisi, delle semplificazioni costruite per “fare effetto“ e non per cogliere l’essenzialità del pensiero. Benedetto XVI, un grande teologo, ispirato dagli scritti di Sant’Agostino e che alcuni hanno già proposto come Dottore della Chiesa, ha dedicato la sua vita allo studio dei sacri testi. Non un semplice impegno erudito, ma un percorso di fede e di spiritualità.
Il Suo Magistero è un donarsi perché prevalesse il potere della spiritualità, la vera potenza che è il fine ultimo della Chiesa di Dio. Una Fede non di facciata che assicuri alla Barca di Pietro una navigazione in acque tranquille.
E Papa Francesco oggi guida la Chiesa Universale con fermezza, dove carità e amore sono i segni veri della Rivelazione. Le discussioni sul “ministerium“ e “munus” tese a dimostrare che le dimissioni di Benedetto non erano effettive, sono i contraccolpi delle scorie di un temporalismo devastante, non scomparso.
L’accostamento alle dimissioni di Celestino V, il papa che “per viltà fece il gran rifiuto” di Dante, è inaccettabile per il giudizio implicito che sottende: sono epoche diverse e il divino poeta condannava chi non gli era “simpatico” e si vendicava dei suoi persecutori. Il tempo dimostrerà che le dimissioni furono un atto di coraggio e di amore.
Incontrai Benedetto XVI, dopo pochi mesi della Sua ascesa al soglio pontificio, il 23 ottobre 2005 in occasione della canonizzazione del calabrese Padre Catanoso. Gianni Letta, era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed io rappresentavamo il governo. Al termine della funzione religiosa andammo, come previsto al cerimoniale, a salutare il Pontefice.
Mi trattenne. Volle esprimere il Suo dolore per la situazione calabrese. Da pochi giorni era stato ucciso il consigliere regionale Fortugno. Ebbe parole toccanti di cristiana solidarietà. Non potrò mai dimenticare i Suoi occhi: specchio di una nobiltà d’animo e di una dolcezza infinita.
Il Mondo non potrà dimenticare questo Papa che ha indicato con fermezza e perseveranza la via della Pace dei cuori in un tempo tormentato e catturato dagli egoismi senza anima e senza futuro!
Mario Tassone