Egitto. Processo a Patrick Zaki. L’accusa, ha difeso i copti. Rischia 5 anni di carcere

AgenPress –  dopo 570 giorni di carcere preventivo si svolge questa mattina presso un tribunale di Mansura la prima udienza del processo a carico di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna in carcere in Egitto dal febbraio dell’anno scorso. Come reso noto ieri da ong egiziane, il rinvio a giudizio è con l’accusa di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” sulla base di un articolo scritto da Patrick nel 2019 sui cristiani in Egitto, a suo dire perseguitati sebbene la circostanza sia del tutto controversa. Il 30enne ricercatore e attivista rischia una multa o una pena fino a cinque anni di carcere, prevede Amnesty International.

Trattandosi di una corte della Sicurezza dello Stato per i reati minori, la sentenza sarà inappellabile.

L’unico atto di accusa noto fino a questo momento – ed è stato esplicitato solo ieri – è un articolo scritto nel 2019 per la rivista on line Darraj, in cui Patrick parla della discriminazione subita da un militare di religione cristiano copta morto nel Sinai, dove lo Stato egiziano conduce da anni quella che definisce una “campagna anti-terrorismo”: per lui, nessun onore né nessuna sepoltura di Stato, sottolinea il ragazzo, lui stesso figlio di una famiglia copta osservante.

Di queste parole Patrick deve rispondere a una corte di emergenza che si occupa di terrorismo, in base agli articolo 80D e 102 bis del codice penale egiziano. La pena, sostengono i suoi amici, prevede fino a cinque anni di carcere. La speranza massima di questa piccola e determinata comunità di attivisti, intellettuali e progressisti, come quella della tradizionalissima e religiosa famiglia George Zaky, è una pena lieve, che tenga conto del tempo già passato in cella e dunque porti Patrick fuori.

In caso di condanna al massimo della pena prevista per questo tipo di reato, Patrick Zaki rischia in teoria di rimanere in carcere altri 3 anni e 5 mesi:  emerge da dichiarazioni fatte oggi da una rappresentante dell’ong per cui lo studente egiziano dell’Università di Bologna lavorava e da quanto avevano ricordato a suo tempo fonti della Giustizia egiziana.

“Sì, legalmente è vero. Non abbiamo motivo di immaginare che la pena sarebbe conteggiata diversamente”, ha detto Lobna Darwish dell’Eipr.  “Qualsiasi egiziano che ha pubblicato notizie, comunicazioni o indiscrezioni sulla situazione interna in modo tale da danneggiare lo Stato e gli interessi nazionali sarà condannato al carcere tra i 6 mesi e 5 anni e a una multa tra 100 a 500 sterline egiziane ai sensi dell’articolo 80 della legge”.

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