Il magistrato Sabella e quella stretta di mano a Brusca

Agenpress. “Non chiamo i collaboratori di giustizia pentiti“. Sgombra il campo dai fraintendimenti il magistrato Alfonso Sabella, a capo del pool antimafia negli anni bui che seguirono la strage di Capaci.

Nel suo percorso di magistrato, conta all’incirca cento latitanti finiti dietro le sbarre. Tra costoro, Giovanni Brusca, superboss della mafia colpevole, fra gli innumerevoli delitti, delle morti di Giovanni Falcone e del figlio del testimone di giustizia Di Matteo.

Dopo la sentenza della Corte europea per i diritti umani (Cedu) del 13 giugno 2019, che di fatto suggerisce all’Italia di rivedere la sua legge sul cosiddetto ergastolo ostativo, a In Terris il “cacciatore di mafiosi” dichiara: “Io credo che un punto su cui bisognerebbe insistere è quello della giustizia riparativa.

Oggi bisognerebbe modificare le norme, tenendone però il substrato. Un tempo, fui fervente assertore dell’abolizione dell’ergastolo; quando ho conosciuto la mafia, mi sono ricreduto. Penso che in taluni casi l’ergastolo ostativo sia uno strumento di cui il nostro Paese non può fare a meno […] ma la giustizia riparativa potrebbe essere un’ottima soluzione perché favorire il contatto tra vittime e carnefici è dignitoso”.

Secondo Sabella, per contrastare le mafie lo Stato non dovrebbe solo attaccare, ma anche “occupare” quei posti della società che hanno consentito alla malavita di avere un’influenza sulla gente: “Le mafie si contrastano sì con la repressione ma, cosa più importante, con la sostituzione. Se la magistratura è impegnata a ‘tagliare’ la criminalità, lo Stato deve prendere il posto occupato dalla mafia.

Mi viene in mente un episodio che ho vissuto dopo la cattura di Pietro Aglieri nel ’97. Quando si rifiutò di collaborare con la giustizia, mi disse: ‘Quando voi andate nelle scuole a parlare di mafia, i ragazzi pensano sia giusto; ma quando i ragazzi cercano un lavoro o una casa, chi trovano se non noi?’. È, dunque, necessario che sia lo Stato a soddisfare i bisogni della gente e fare in modo che i diritti dei cittadini non siano trasformati in favori” sottolinea il magistrato, per il quale urge combattere una subcultura mafiosa, spesso presente nelle serie televisive o nei film che hanno per protagonisti mafiosi: “Credo che sia importante chiarire da che parte stare. In alcuni prodotti televisivi, c’è il rischio che passi un’immagine epica, finanche un po’ etica, della mafia […]. Creare questo ‘fascino del male’ è quanto di più sbagliato noi educatori possiamo fare, perché si rischia di alimentare un fenomeno”. In prima linea nella lotta alla criminalità mafiosa, Sabella non risparmia osservazioni su taluni modi di procedere da parte della magistratura di oggi: “I magistrati devono avere le competenze scientifiche per gestire il collaboratore di giustizia, che è una ‘bestia’ stranissima […] Oggi c’è un calo di professionalità da parte dei magistrati. In passato, lo Stato mandava i suoi uomini migliori a contrastare le mafie. Oggi abbiamo una maggiore professionalità globale della magistratura, ma una mancanza di punte d’eccellenza e capita che alcuni casi non vengano trattati con la dovuta e meticolosa attenzione che avevamo noi all’epoca. Al confronto, noi eravamo attentissimi”.

La questione – per il magistrato – emerge nei casi in cui si ha a che fare con i collaboratori di giustizia, come Brusca. In questo caso, Sabella precisa una distinzione: “La questione s’incentra sul ravvedimento dell’individuo, dove la Procura Nazionale Antimafia e la Magistratura di sorveglianza hanno dato due pareri differenti. La prima ha valutato la rilevazione della collaborazione che il detenuto dà. La magistratura di sorveglianza , invece, il suo percorso morale”.

Come sottolinea, quando si parla di ravvedimento, non s’intende un pentimento morale: “In questo senso Brusca [collaboratore di giustizia prezioso] resta un arrogante, in lui non c’è un ravvedimento morale. Per questo io non ho voluto mai chiamare i collaboratori di giustizia ‘pentiti’, che hanno un valore molto più alto”. Sulla questione del ricorso all’ergastolo ostativo per alcuni soggetti che hanno deciso di collaborare con la giustizia, il magistrato chiarisce: “I collaboratori di giustizia sono persone che hanno deciso di stipulare un contratto con lo Stato che avrà dei profili poco etici, ma è indispensabile.

A tal proposito, occorre ricordare che questo tipo di contratto è stato voluto dal volto della lotta alle mafie, il giudice Giovanni Falcone, che proprio Brusca uccise”. Se dal punto di vista umano, Sabella non nasconde sentimenti di ripulsa verso alcune azioni criminose, in lui resta prioritario l’atteggiamento di uno Stato che si mostri forte: “Ho stretto la mano a Brusca […] credo sia stato un modo per dimostrare che la forza dello Stato non risiede nella vendetta, ma nelle regole. L’uomo resta un essere umano. E tutti gli esseri umani nascono uguali in dignità e diritti, come recita la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, compresi Brusca e Riina”.

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