L’ opinione di Roberto Napoletano. L’occasione per saldare il debito con la storia

Agenpress – Gli eredi del PCI, diventati poi tutto e il contrario di tutto, oggi riuniti sotto le insegne molto allargate del Partito democratico, hanno un’occasione irripetibile per sanare la ferita da loro prodotta con la rimozione in tronco dell’allora presidente della Cassa per il Mezzogiorno, Gabriele Pescatore, durante il governo di Solidarietà Nazionale.

L’uomo che aveva risolto il problema dell’acqua e unito le due Italie con strade, dighe e acquedotti portando i primi soldi esteri in questo Paese, apprese la notizia della sua rimozione, come diceva lui “dal figlio di Pastore”, il cronista del tg1 Mario – suo padre Giulio era l’ex ministro del Mezzogiorno legatissimo a Pescatore – che la lesse turbato durante l’edizione delle venti.

Il Professore era seduto sul divano di casa e chiamò la moglie Clementina pronunciando queste parole: ventidue anni di servizio e dedizione totali, ti cacciano senza nemmeno una telefonata.

Dopo molto tempo il Presidente del Consiglio dell’epoca, Giulio Andreotti, riconvocò il Professore (“noi siamo piccoli, lei è grande e ci avrà perdonato”) per chiedergli aiuto a sbrogliare la matassa della legge Anselmi sulla sanità a sua volta figlia sempre del clima di quella stagione di governo catto-comunista.

Pescatore approfittò dell’occasione e chiese il perché (vero) di quella rimozione. Andreotti, stringendosi ancora di più nelle spalle, e abbassando la voce, disse: ci provammo a resistere, mi creda Professore, insistemmo, li mettemmo in guardia; il Pci però la considerava l’unico caso al mondo di attuazione con successo del dogma della pianificazione comunista, ma a vantaggio dei potentati democristiani, non vollero sentire ragioni perché ai loro occhi si era macchiato di una colpa troppo grave. Ovviamente non era vero, come sapeva bene Andreotti, che veniva sempre rispedito al mittente, e come avevano capito Gerardo Chiaromonte e Pio La Torre ma ai “miglioristi” si consentiva la testimonianza e nulla più. Nel caso di Amendola, poi, si arrivò all’elogio, alla critica e all’autocritica.

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