Verbali Cts. I tecnici erano contrari alla chiusura totale, ma Conte fece il contrario

AgenPress –  “Le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto presentano… una situazione epidemiologica complessa attesa la circolazione del virus, tale da richiedere la prosecuzione di tutte le misure di contenimento già adottate, opportunamente riviste”. E’ quanto scriveva il Comitato tecnico scientifico lo scorso 28 febbraio, una settimana dopo l’individuazione del paziente uno a Codogno, suggerendo al governo una serie di misure più restrittive per le tre regioni dove il Coronavirus si stava maggiormente diffondendo.

Dieci giorni dopo la riunione del Cts, il governo adottò la misura del lockdown per la Lombardia e altre 14 province in Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte.  Gli esperti suggerivano in particolare la sospensione di tutte le manifestazioni organizzate “di carattere non ordinario e di eventi in luogo pubblico e privato”, degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati e dei concorsi, la chiusura di scuole e università, il mantenimento dell’obbligo di chiusura per musei e per tutti i luoghi culturali. Quanto alle attività commerciali, il Cts consigliava la “soppressione dell’obbligo di chiusura” ma solo a condizione “dell’adozione di misure organizzative che consentano la fruizione nel rispetto della distanza di almeno un metro tra le persone”.

Il 7 marzo  il Comitato tecnico scientifico si riuniva per verbalizzare le indicazioni da fornire al governo sull’emergenza Coronavirus. Nel documento riservato inviato al ministro della Salute Roberto Speranza e pubblicato solo oggi sul sito della Fondazione Einaudi emerge che il Cts proponeva di “adottare due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l’altro sul territorio nazionale”.

Invece il 9 marzo il presidente del Consiglio ha deciso con un suo provvedimento il lockdown totale, ovvero misure uguali per tutto il territorio nazionale. Decisione che portò con sé non poche polemiche politiche tra i governatori. Tra chi come Attilio Fontana, presidente della Lombardia, che pretendeva che l’Italia intera si uniformasse affinché la sua regione non restasse indietro, e gli amministratori del Sud, dove vi erano meno contagi, che chiedevano misure restrittive più soft così da subire meno la crisi economica.

Dei territori in cui vi era maggiore rischio di contagio facevano parte le cosiddette “zone rosse” e “zone gialle” che il Comitato propone di unificare. Nello specifico quindi si raccomandavano misure più rigorose in Lombardia e nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti”. Misure rigorose che prevedevano la chiusura totale di ogni tipo di attività, la chiusura dei luoghi di culto e lo stop agli spostamenti di ogni tipo.

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