La distruzione del porto di Beirut e il “nuovo ordine” in Medio Oriente

AgenPress. La potente deflagrazione che da distrutto il porto e parte della città di Beirut il 5 di agosto scorso, alle 18, con un bilancio di morti, imprecisato ma almeno oltre i 150, con 4mila feriti, 300.000 mila le persone rimaste fuori casa, è stata generata dallo scoppio di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio, residuo di uno strano “affare” di una società, con sede cipriota, posseduta da un piccolo “oligarca” russo, materiale mai reclamato o diversamente utilizzato. I marinai dell’oligarca, non pagati, furono rimpatriati dalle Organizzazioni Internazionali.

La grande esplosione ha creato, è bene notarlo, un terremoto di magnitudo 3,5 Richter.

Nel frattempo, tra pochi giorni, ma il verdetto è stato rimandato, il Libano attende il verdetto sull’assassinio di Rafik Hariri avvenuto, con un atto terroristico, nel 2005. Gli imputati sono solo quattro, in contumacia, ma tutti appartenenti a Hezb’ollah, che è stato peraltro la parte politica essenziale per sostenere il governo libanese, appena dimessosi.

 Comunque, molte fonti, anche in USA, pensano che i mandati dell’attentato contro Rafik siano stati gli stessi Sauditi. Si pensi qui a quello stesso Saad, il figlio, che fu “rapito”, ma in un albergo lussuoso, da Mohammed Bin Salman, per debiti, nel 2017, per far ritorno tre settimane dopo.

Altro tassello inevitabile della questione: il default dello stato libanese, annunciato ufficialmente il marzo scorso dal premier Hassan Diab, un “indipendente” gradito a Hezb’ollah.

Si noti però che le banche private libanesi hanno ancora un ottimo boccone di capitali disponibili, giusto in tempo, prima della spoliazione di quel poco che resta dello Stato.

Operato il default, all’epoca, su un debito di 1,2 miliardi di eurobond, e già con un rapporto debito/pil del 170%, eurobond non ripagati, ma per comprare importazioni di beni primari.

Il Libano va avanti da tempo con una economia ormai immaginaria, con le riserve estere della Banca centrale, per tutte le monete, ridotte a 29 miliardi di usd che, fra le obbligazioni con le banche locali e le riserve fisse e altro, si riducono a soli 4 miliardi che siano utili per ripagare il debito.

Il Procuratore, poi, ha sospeso l’attività di ben 20 banche libanesi, il 5 marzo scorso.

 Ma molti giurano, tra gli esperti del luogo, che alcune banche locali siano ancora piene come uova di depositi. Il che è molto probabile. E chi sta programmando il default politico del Libano non aspetta altro.

Un Paese economicamente distrutto, quindi, a cui l’esplosione ha dato il colpo finale. L’esplosione, poi, ha messo in soffitta in un attimo, il complicato sistema costituzionale di divisione tra le etnie, drusa, sciita, sunnita, cristiana, e altre, peraltro, che aveva costruito il castello di carte dei vari governi.

Le masse, con la finanza che non esiste più e il turismo evaporato con il Covid-19, quindi con una economia ridotta a zero, dimostrano sempre insieme e non percepiscono più le differenze religiose sulle quali avevano fatto fortuna i loro vecchi “imprenditori politici”.

Le vecchie consorterie, poi, non hanno più risorse selettive da distribuire quindi, con la relativa eccezione di Hezb’ollah, non avranno più seguaci.

Viene qui in mente un recente documento del Carnegie Endowment for International Peace, “Destroyng Lebanon to Save It”, che riporta un documento uscito dall’ambiente repubblicano, con un progetto finale molto semplice: integrare il Libano nel sistema Usa contro l’Iran. La vedo difficile.

Ma poi l’esecuzione riportata dal documento del Think-Tank Usa prevede che nemmeno il Fondo Mondiale Internazionale debba dare nemmeno un dollaro a Beirut, porto che i Cinesi volevano comprare, ma ora arrivano a Tripoli, ed ecco un altro tassello.

Nemmeno un dollaro, ma solo fino a che le masse libanesi non si rivoltino nettamente contro la corruzione, figuriamoci, ma soprattutto contro Hezb’ollah che, peraltro, è l’unica rete di Welfare religioso oggi disponibile in un Stato fallito.

Per gli Usa, o per i suoi repubblicani, quando tentano di pensare la politica estera, quindi, la stabilità del Libano è un dato irrilevante e, anzi, negativo in quanto diverrà in futuro un asset strategico per l’Iran e lo stesso Hezb’ollah.

Però i libanesi, come un sol uomo, ma sempre più malati e affamati, dovrebbero richiedere a gran voce “la libertà” e la “guerra ai tiranni”, che peraltro hanno la loro stessa fede, cultura, abitudini. Auguri.

Nemmeno con le sceneggiate dell’Einstein Institute potranno trasformare i libanesi. Altro tassello. O lo distruggono, il Libano, o devono cercare, certo non con queste fesserie democraticiste, di portarselo, tutto intero e non qualche fazione, dalla loro parte.

Quindi, il nitrato d’ammonio al porto di Beirut ha già trasformato il Medio Oriente in modo radicale.

Gli effetti saranno, e anzi già sono: a) la ovvia destabilizzazione del Libano, che diventerà o parte dei nuovi blocchi in formazione o semplicemente un passaggio verso la Siria, da nuovamente destabilizzare, e alla fine l’Iran, poi c’è b) il controllo e la destabilizzazione del fianco sud della Belt and Road cinese, poi ancora d) la riduzione ad nihilo di Hezb’ollah, senza più reti e coperture locali, e) la creazione di una infinita long war in Siria per poi destabilizzare sempre l’Iran, infine l’entrata della Turchia verso le sue aree anche nuove, in Siria e per puntare anche alla Giordania, ormai failed state.

Con 1,4 milioni di profughi siriani, che vive di prestiti del FMI che sono sempre più “lunghi” e che ci fanno prevedere, per un Grande Re e il suo piccolo Regno giordano, un futuro “trattamento” libanese.

Sullo scenario libanese ci sono altri due elementi che sono cambiati recentemente. Le rettifiche geopolitiche, per i Paesi che contano poco, si fanno senza complimenti e in tempi stretti.

Ecco il punto: la nuova configurazione dei pozzi di gas naturale e petrolio tra Cipro e Egitto, passando per il Libano e Israele. Ne parleremo.

Poi, la crisi del covid-19, acceleratore per la creazione di fail states, generatori di migrazioni, come in Africa, oppure di operazioni “mordi e fuggi” sulle loro materie prime. Come in Africa.

E, comunque, la questione del gas e del petrolio nel Mediterraneo orientale è centrale, per la sua nuova “rielaborazione”, post-distruzione, del porto di Beirut.

La Turchia, per esempio, con un Libano inesistente, può chiudere la sua Zona Economica Esclusiva dalle coste libiche di Tripoli fino a Kastellorizo, ai confini della Grecia, per poi arrivare non solo alle aree greco-cipriote, ma fino alle coste già libanesi.

La chiusura ad arco degli interessi petroliferi turchi in tutto il Mediterraneo.

Certo, con le mozzarelle ammuffite che si trova in giro, Erdogan avrà vita facile.

Nel primo anno di produzione, gli idrocarburi costieri del Libano potrebbero generare almeno 8 miliardi di profitti. Se la Turchia perde il suo ruolo nel mondo del gas mediterraneo orientale, lo perde però anche come partner della Russia per le pipelines. Ankara non ci pensa nemmeno. Ecco un’altra chiave.

Poi c’è il ruolo dell’Arabia Saudita. Di solito, il Libano serviva per un giuoco di equilibri e schermaglie tra i sauditi e Damasco, con riferimento all’Iran.

Il canale di Riyadh in Libano è sempre stato clanico, ovvero la famiglia Hariri.

Ma, dopo l’assassinio di Rafik Hariri, soprattutto, i sauditi si avvicinano lentamente anche al regime di Damasco, e quindi alla “legittima” influenza che Damasco esercita sul Libano.

Meglio gli Assad che l’Iran o gli Hezb’ollah, pensano a Riyadh.

Con l’inizio della guerra in Siria, però, avviene un blocco completo, logicamente inevitabile, della politica in Libano: gli sciiti con l’Iran, dalla parte degli Assad, addirittura spesso direttamente impiegati sul terreno siriano, ma i sauditi fortemente intorno ad Hariri, per mantenere un gruppo sunnita non legato direttamente allo scontro siriano, poi i cristiani e altre tradizioni religiose frazionate tra pacifismo e impegno con Damasco.

Si arriva al febbraio 2016, quando il Regno wahabita blocca 3 miliardi di dollari di aiuti militari per le FF.AA. e un ulteriore miliardo per la sicurezza. Attualmente, ci sono proposte di aiuto finanziario da parte dei sauditi, ma solo a condizioni economiche e politiche molto strette.

Altro indizio: anche l’Arabia Saudita non è più interessata alla unità del Libano come Paese.

Ormai, tra accordi con Israele e sostegno Usa, oltre a una nuova riconfigurazione delle relazioni tra Riyadh, gli Emirati e l’Egitto, i sauditi non hanno più bisogno di una infida e frazionatissima base arretrata contro l’Iran, come era il Libano.

Casomai, per gli Al Saud occorrerebbe creare fortissime divisioni nella società libanese, oggi impossibili, per contrastare l’influsso di Hezb’ollah.

Altro indizio: evitare, da parte di chi ha compiuto l’attentato, o l’ha ordinato, con la distruzione del Libano, la simultanea creazione di una “Unione del Levante” tra Cipro, Libano, Iraq, Palestina (ANP) Giordania, Egitto, cosa che si ventilava da anni e che sarebbe stata un blocco notevole per le mire di alcuni attori internazionali.

L’Africa ha già organizzato la sua African Continental Free Trade Area, esattamente dal maggio 2019, per un prevedibile PIL commerciato di 2 trilioni di usd in media.

Il “Levante” offrirebbe accesso diretto portuale alla Cina, altro elemento che chi sta destabilizzando il Libano non vuole affatto. Altro indizio.

Certo, il Libano attuale non si deve aspettare un bailout finanziario dal resto del mondo.

Beirut, o quel che ne rimane, ha bisogno subito di 20-24 miliardi di dollari freschi di solo finanziamento esterno. Il deficit fiscale è l’11,6% del PIL, e il rapporto debito-Pil è del 170%, come abbiamo visto.

Il cambio ufficiale Lira-Dollaro è di 1:2000 e oltre.

Naturalmente, la fuga dei capitali è senza controlli.

Un altro indizio, importantissimo, è la nuova relazione tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele.

Gli Emirati hanno già, è il caso di Abu Dhabi, posto Hezb’ollah tra le organizzazioni terroriste e hanno condannato Hamas.

Non è stato un processo breve, ma la logica della collaborazione è quasi naturale: entrambi i Paesi e le aree, Israele e gli Emirati, in particolare Abu Dhabi, sono legate agli Usa, hanno buoni rapporti con l’Egitto, hanno gli stessi interessi anti-iraniani. E si scambiano intelligence selezionata da tempo.

Per Israele, è l’arrivo in mercati molto ricchi, per l’UAE un nuovo alleato che è anche una potenza militare regionale senza pari.

Senza il pericolo saudita e emiratino, non c’è più bisogno del vecchio Libano, per gli israeliani.

Per la Russia, invece, c’è il pericolo che il post-Libano sia ridotto a corridoio tra il Mediterraneo e le aree di tensione in Siria e poi verso l’Iran, per una rinnovata guerra di “stabilizzazione” tra Damasco, Baghdad e, in futuro, Teheran.

Sarebbe la fine del grande progetto di Mosca realizzatosi, finora, con la vittoria in Siria, con il minimo dispendio di forze, e la stabilizzazione del regime di Bashar el-Assad, cuscinetto tra la costa mediorientale e l’area islamista a diretto contatto con la Russia.

D’altra parte, la Federazione Russa teme che Damasco cada in mano delle varie fazioni jihadiste e terroriste, ma non vuole entrare direttamente nell’agone del post-Libano.

Ma Mosca segue direttamente sia le reti del terrorismo islamico, oggi attivissime in Libano, e le varie mosse pre-belliche di alcuni Paesi occidentali.

Cosa vorrà poi la Russia dal caos libanese? La sigillatura dei confini verso la Siria, il blocco dal passaggio in Siria dei jihadisti destinati a destabilizzarla su ordini altrui, la non-esportazione regionale della crisi libanese da parte degli occidentali.

Altro indizio: la crisi prossima venuta dei rifugiati. In ogni area (anche questo è un indizio) in cui alcuni ne stanno trasformando i connotati politici, demografici, strategici e geopolitici, è più facile creare rifugiati da usare come massa di pressione, ricatto, addirittura guerra economica, che non mantenere le vecchie popolazioni in loco. Altri pagheranno per loro.

Il Libano ha già 1,5 milioni di rifugiati dalle sue guerre periferiche. Ai quali non concede diritti.

La Giordania si tiene altri 780.000 rifugiati, ma il Regno Hashemita è già nel mirino dei “grandi trasformatori” del Medio Oriente, quelli che scrivono con le bombe i nuovi confini con la stessa facilità con cui Sykes e Picot li ridisegnavano con le matite e i righelli.

Non ci saranno nuovi migranti in UE dal Libano: le popolazioni “eccessive” saranno dirette verso il resto del Medio Oriente o emigreranno, a parte l’epidemia di Covid-19, verso il Nuovo Mondo.

Chi ha già “caricato” di migranti africani gli stati più stupidi della UE, come per esempio il nostro, non ha interesse a aumentare la dose, il che renderebbe impossibile la risposta politica e, forse, militare di alcuni Paesi UE nel post-Libano. Che verrà stizzosamente richiesta. E noi abbiamo anche UNIFIL II, da evitare che cada in ostaggio di nuovi “portatori di pace” o attori regionali senza scrupoli…

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