AgenPress. “Sono molte le lezioni da trarre da quello che è avvenuto negli Stati Uniti, in effetti non solo nella drammatica serata dell’altro ieri, ma in questi quattro anni. Certamente, i partiti in quanto tali hanno mille difetti.
Spesso si burocratizzano, fanno al loro interno una sorta di selezione alla rovescia e così si distaccano da una parte del loro elettorato e dal popolo in generale per cui, alla fine, o si suicidano o creano le migliori condizioni per essere distrutti. Però, malgrado questi e altri difetti, finora non è stato inventato alcun meccanismo sostitutivo che comunque assicuri una dialettica democratica reale. D’altra parte l’esistenza di partiti forti non esclude il ruolo di leader altrettanto forti.
Non è infatti che nella Prima Repubblica non ci siano stati personaggi di grande statura: De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa, Saragat, poi Andreotti, Moro, Fanfani, Craxi e Berlinguer sono stati tutti leader la cui statura non può esser certo messa in discussione, ma essi avevano alle spalle partiti di grande spessore, radicati nella società, animati da un permanente dibattito che li condizionava fortemente.
La vicenda di Trump conferma il fatto che l’esperienza di un uomo solo al comando è quasi sempre portatrice di avventure e di sventure. Nel 2016 Trump ha conquistato il potere per un paio di situazioni imprevedibili: fondamentalmente la globalizzazione ha avuto un andamento che ha sconvolto la geografia economica e anche quella politica del mondo e degli stessi Stati Uniti.