AgenPress. Giovedì 10 marzo l’Istituto di studi Penalistici “Alimena” (ISPA) e i dipartimenti DiCES e DiSCAG dell’Unical, in collaborazione con le Università di Bologna e di Salerno, organizzano il convegno su «Rifiuto dei trattamenti sanitari e aiuto medico a morire».
Vista l’importanza e l’attualità dell’evento, rivolgiamo alcune domande al professore Mario Caterini, docente di diritto penale nell’Unical e direttore dell’ISPA.
Il quesito referendario sull’omicidio del consenziente non è stato accolto dalla Corte costituzionale. Ci può spiegare le ragioni delle polemiche che questa pronuncia ha sollevato?
Ragioni per polemizzare ce ne sono. In caso di accoglimento, l’effetto sarebbe stato quello di evitare la punizione di chi aiuta altri a togliersi la vita, a condizione che la volontà suicidaria fosse di persona maggiorenne e non affetta da deficienza psichica o sotto gli effetti di alcol o stupefacenti, oppure di violenze, minacce, suggestioni o inganni.
Dunque, non è vero che i soggetti fragili sarebbero rimasti privi di tutela?
In parte è così, ma secondo la Corte ‘fragilità’ possono esserci anche in casi diversi da quelli prima indicati.
E quali sono questi altri casi di fragilità?
Secondo la Consulta sono tutti quelli in cui, nonostante non vi sia un vero vizio di mente, una persona è comunque in una condizione di ‘debolezza’, a prescindere da una grave malattia irreversibile con insopportabili sofferenze, come un semplice disagio affettivo, economico, fino a un mero sconforto che può portare a scelte ‘libere’ di morte per mano altrui.
Ma se la scelta è libera, allora la Corte ha affermato che non siamo liberi di morire come vogliamo e per mano di chi vogliamo?
Anche se la Corte afferma che non vi sia un dovere di vivere a tutti i costi, neppure crede che debba essere tutelata pienamente la libertà di morire. L’equilibrio è difficile, ma se la decisione verrà strumentalmente letta come l’affermazione di una sorta di ‘dovere’ di vivere, credo che non sia segnato un passo avanti nella cultura giuridica di uno Stato liberale.
Quindi, lei sarebbe stato a favore dell’ammissibilità del quesito referendario?
Per alcuni limiti propri dello strumento referendario, il quesito ridisegnava una norma che alla fine sarebbe risultata effettivamente tagliata con l’accetta. Situazioni così delicate richiedono norme precise e ben ponderate. Rispetto al referendum, perciò, riterrei certamente preferibile che il Parlamento si decidesse finalmente a intervenire con una legge rispettosa anche del principio di autodeterminazione nelle scelte di fine vita.
Quindi, lei al referendum avrebbe votato no?
No, anzi, per quel che può contare, avrei votato sì, perché l’accoglimento del quesito avrebbe indotto il Parlamento ad approvare una legge che se non avrebbe potuto sconfessare l’esito della volontà popolare, avrebbe però potuto rimediare alle ‘rozzezze’ normative venute fuori dal referendum. Invece, l’inammissibilità del quesito probabilmente annichilirà le chances di avere presto una buona legge che consideri anche le ragioni della battaglia referendaria, a quanto pare condivise dalla prevalente opinione pubblica.
In conclusione, professore, il convegno si annuncia carico di contenuti.
Certo. Sarà un dibattito dei giuristi tra i più esperti della materia, di molte università e con approcci anche contrastanti. Saranno rappresentate pure le associazioni che hanno sostenuto le ragioni del sì e del no. Un vero confronto, allora, secondo uno spirito pluralista e questo non può che essere motivo di soddisfazione perché aggiunge un tassello alle molte altre attività messe in campo dall’Istituto “Alimena”.
di Elia Fiorenza