AgenPress. Le donne in uscita da Centri antiviolenza e Case Rifugio vivono un percorso accidentato, fatto di ostacoli e difficoltà, che le espone a estrema vulnerabilità socioeconomica e al rischio di ricadere nella spirale della violenza. L’allontanamento dalla casa familiare per motivi di sicurezza o perché di proprietà del maltrattante; la mancanza o la sospensione temporanea del lavoro per ricevere cure e supporto, l’impossibilità di disporre dei propri soldi e del proprio conto corrente, perché sotto il controllo del convivente. Sono queste le necessità impellenti delle donne che hanno subito violenza a cui troppo spesso lo Stato non risponde a causa di politiche frammentarie, incoerenti e fondi stanziati insufficienti a coprire le richieste di supporto per avere un reddito certo, alloggio sicuro e lavoro dignitoso.
È quanto denuncia ActionAid con il report “Diritti in bilico”, l’analisi delle politiche e delle risorse nazionali e regionali a sostegno delle donne, attraverso focus group, workshop e interviste che hanno coinvolto circa 100 rappresentanti di strutture di accoglienza, servizi territoriali ed enti pubblici per donne in fuoriuscita dalla violenza. Per il periodo 2015-2022, le istituzioni hanno stanziato circa 157 milioni, ovvero 54 euro circa al mese per donna non autonoma economicamente per fornirle un supporto al reddito, promuoverne il re/inserimento lavorativo, garantire una casa sicura e sostenibile nel lungo periodo. Così ripartiti: circa 20 milioni di euro per misure di sostegno al reddito, 124 milioni per interventi di re/inserimento lavorativo, 12 milioni per favorire l’autonomia abitativa. Fondi scarsi che dovrebbero sostenere le donne, che spesso non riescono a produrre una dichiarazione Isee separata da quella del maltrattante e accedere a misure contro la povertà (reddito di cittadinanza, reddito di dignità) o di supporto alle famiglie in difficoltà (es. bonus affitto, bollette).
“Per vivere una vita libere dalla violenza le donne hanno bisogno di un reddito sufficiente una casa sicura, un lavoro dignitoso e servizi pubblici funzionanti: diritti fondamentali che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire a tutte e in tutti i territori. Il rischio è di far tornare le donne, spesso con figlie e figli, dagli autori di violenza, vanificando il loro percorso verso l’autonomia. Quanto tempo ancora le migliaia e migliaia di donne che hanno subito violenza dovranno aspettare prima di poter beneficiare di politiche e servizi strutturali che rispondano alle loro esigenze? Al Governo chiediamo per l’ennesima volta di adottare politiche integrate e strutturali coinvolgendo tutti i Ministeri e gli uffici competenti. È questa l’unica via possibile affinché le donne possano affrancarsi con successo dalla violenza e affermare la loro libertà” dichiara Isabella Orfano, esperta diritti delle donne di ActionAid.
REDDITO, SOLO PER POCHE. Ogni anno sono circa 50mila le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza. Nel 2020, le donne assistite dai CAV senza lavoro o risorse per rendersi autonome erano il 60,5%. E la quota sale al 70% tra le giovani dai 18 a 29 anni, le più precarie. Ma gli strumenti adottati dall’Italia per supportare economicamente e finanziariamente le donne sono pochi, frammentari e inadeguati. Il “Reddito di libertà”, istituito nel maggio 2020 con il DL Rilancio dopo i lockdown imposti dal Covid-19, oggi è uno strumento per l’indipendenza economica delle donne in condizioni di povertà che hanno subito violenza. Si tratta di un supporto di 400 euro al mese per massimo 12 mesi. Il RdL è finanziato con 12 milioni di euro per il periodo 2020-2022: nel primo anno solo 600 donne ne hanno beneficiato a fronte delle 3.283 richieste presentate (dati Inps). Il maggior numero di domande è da residenti nel territorio lombardo (578), seguite da quelle di Puglia (380) e Campania (379). Con questi fondi si calcola che solo 2.500 donne potranno avere accesso alla misura. Tuttavia, sarebbero circa 21 mila all’anno le donne che ne avrebbero necessità (elaborazione Dati Istat).
Alcune regioni italiane si erano mosse prima del Governo nazionale: la Sardegna è stata la prima Regione ad adottare nel 2018 il “Reddito di libertà” per le donne con un sussidio mensile di un minimo di 780 euro per massimo 3 anni. Nello stesso anno, il Lazio ha istituito il “Contributo di libertà”, destinando alle beneficiarie massimo 5.000 euro una tantum. La Regione Puglia con il “Reddito di dignità” ha attivato percorsi specifici per le donne in fuoriuscita dalla violenza includendole nelle misure di contrasto alla povertà assoluta. Spesso però i criteri di accesso tra la misura nazionale e locale entrano in conflitto, escludendo le donne e creando disparità tra territori. Fino ad ora per le misure di supporto al reddito sono stati stanziati 20 milioni di euro, di cui 14 da risorse nazionali, 4 milioni da quelle regionali e i restanti da fondi europei.
LAVORO. A livello nazionale non esiste nessuna norma riguardante il re/inserimento lavorativo che prenda in considerazione le specifiche esigenze delle donne in fuoriuscita dalla violenza, cioè i carichi di cura familiari, la precarietà economica, le difficoltà di spostamento o la mancanza di accesso a servizi come asili e nidi. Le misure sono pensate e finanziate da ciascuna Regione in modo diverso attraverso percorsi di formazione professionale, tirocini, borse lavoro, attività di avvio all’autoimprenditorialità. Un quadro che amplifica lo squilibrio territoriale italiano e le diseguaglianze di accesso alle opportunità per le donne, il divario tra grandi città e i piccoli centri. Per la partecipazione delle donne che hanno subito violenza al mercato del lavoro, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato circa 124 milioni di euro dal 2015 a oggi: il 72% (89,2 milioni) per interventi di mantenimento dell’occupazione e il restante 28% (34,8) per quelli di re/inserimento lavorativo, sebbene il numero di donne disoccupate accolte dalle strutture antiviolenza nel 2020 sia del 50%. Nel 2015, per il mantenimento dell’occupazione, sono stati attivati due strumenti strutturali: il congedo indennizzato per vittime di violenza, per cui sono stanziati in media circa 12 milioni annui, e il ricollocamento per le dipendenti della Pubblica Amministrazione senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Nel caso del congedo, dalla sua introduzione ad oggi, è stato registrato un aumento delle domande presentate del 2.662% (da 50 nel 2016 a 1.331 nel 2021), a cui non è seguita una crescita delle domande accolte. Nel 2021, infatti, solo il 32% delle domande presentate è stato accettato (432 a fronte delle 1.331).
CASA. Le donne che hanno subito violenza hanno una probabilità quattro volte superiore rispetto alle donne in generale di vivere situazioni di disagio abitativo. Chi deve ricostruire la propria vita spesso ha difficoltà nel pagamento dell’affitto o della rata del mutuo, è costretta a traslochi frequenti, subisce sfratti o si trova a dover vivere in alloggi sovraffollati, insieme ai figli.
Per promuovere l’autonomia abitativa delle donne in fuoriuscita dalla violenza, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato per il periodo 2015-2022 12 milioni di euro, di cui 9,3 milioni da risorse nazionali e 1,8 da quelle regionali. Le risorse sono state spese principalmente per erogare contributi economici alle donne per la copertura di caparre, canoni d’affitto e pagamento di utenze. Si tratta di interventi insufficienti per risorse e tempi di erogazione che non tengono conto della necessità di offrire strumenti per il raggiungimento di un’indipendenza abitativa sostenibile e di lungo periodo.