AgenPress. Celebriamo oggi la prima Giornata nazionale degli Internati militari italiani nei campi di concentramento tedeschi dopo l’8 settembre del 1943.
Nella memoria della Repubblica viene in questo modo impresso, e definito, un segno di grande importanza. Un segno che rafforza – in quanto la completa – la radice della democrazia conquistata dal nostro popolo. E che rende pienamente onore ai militari italiani che ebbero il coraggio di pronunciare il loro No al nazifascismo, pagando un prezzo personale altissimo e subendo, al termine della guerra, una sorta di oscuramento della loro resistenza, travagliata ed eroica.
Con quel No ai fascisti di Salò e alle truppe di occupazione difesero la dignità e il senso autentico dell’amor di Patria quando lo stesso vertice dello Stato si era dissolto.
Desidero esprimere – e rinnovare – un saluto particolarmente intenso ad Abramo Rossi, ringraziandolo per la sua testimonianza, che ci ha coinvolti in maniera trascinante. La sua presenza ha conferito, e conferisce, lustro ulteriore a questo evento.
Rivolgo il saluto anche ai familiari di Mario Ciavaglia, che non ha avuto la possibilità di venire quest’oggi, qui al Quirinale.
Ottantadue anni or sono – come abbiamo ascoltato – nei giorni difficili e caotici dell’armistizio, Rossi e Ciavaglia non accettarono di mettersi agli ordini delle SS e dei fascisti. Il rifiuto costò loro la deportazione nei campi di prigionia e nei campi di lavoro coatto in Germania, con i patimenti dolorosamente subiti. E questa fotografia dà idea di quale dovesse essere la vita in quelle condizioni.
Per lungo tempo le vicissitudini e la condotta dei circa 650 mila militari internati sono rimaste in ombra, malgrado il numero dei caduti, le sofferenze patite da tutti loro, i coraggiosi rifiuti alle pressioni sempre più minacciose dei carcerieri, le reti di solidarietà costruite fra italiani.
Sul piano valoriale, morale – e anche su quello concreto – la resistenza dei militari che dissero No ebbe un significato e una valenza di altissimo rilievo, l’abbiamo poc’anzi ascoltato.
Oggi tutto questo si coglie in modo finalmente più compiuto, grazie alla costante azione di stimolo delle vostre associazioni e al lavoro prezioso degli storici. La resistenza italiana non è stata limitata ad avanguardie patriottiche, ma ha ricevuto l’apporto di diversi affluenti provenienti da varie componenti sociali.
È grazie anche a tante resistenze senza armi che la resistenza armata ha trovato allora terreno fertile, consensi e sponde preziose. Quei principi di libertà, di indipendenza, di pace sono diventati patrimonio comune anche in virtù di sacrifici diffusi nella popolazione, di solidarietà generose e di tanti eroismi rimasti sconosciuti, sorretti dalle coscienze personali e propagatisi proprio con la forza di coerenti testimonianze.
Allargare lo sguardo sulla ribellione degli italiani agli oppressori è dunque un’esigenza di verità. Preziosa anche per comprendere la saldezza delle radici e il valore costituente della Resistenza.
I militari, abbandonati a loro stessi dopo l’8 settembre, che difesero l’onore della Patria rifiutando l’arruolamento nell’esercito tedesco o in quello di Salò sapevano di compiere una scelta di grave rischio sul piano personale. Tanti – ripeto – pagarono con la vita. Tanti morirono nei lager tedeschi. Tutti patirono sofferenze immani vivendo in condizioni di sostanziale schiavitù per un anno e mezzo. Sofferenze e ferite non cancellabili.
La libertà di cui oggi ci gioviamo ha un debito verso il coraggio di questi uomini.
Patrioti che nei campi tedeschi sono stati privati della loro stessa identità e ridotti a un numero, che hanno respinto lusinghe e promesse quando è stata loro proposta la rinuncia alla loro dignità di italiani in cambio di una scarcerazione. Patrioti che, nelle baracche, dopo il lavoro, hanno cominciato a tessere i fili di quelle relazioni solidali, di quell’etica collettiva che sarebbe diventata l’humus di un nuovo inizio per l’Italia.
Un numero enorme quello dei militari – con loro anche tanti civili – che hanno pronunciato quel No a una richiesta imperiosa e gravida di minaccia, contraria alla loro coscienza. Questo così alto numero merita di essere sottolineato, anche perché non si è formato sulla base di un ordine, di una indicazione istituzionale, ma è sorto da una loro personale, consapevole scelta.
La confusione seguita all’8 settembre poteva indurre a scelte diverse, più convenienti. Invece la risposta, così ampia, dei militari italiani è stata quella del rifiuto. In nome dell’Italia. Per non combattere contro altri italiani. Per non rendersi complici degli orrori che già venivano alla luce. Per non piegarsi davanti a chi si presentava da nemico e pretendeva sudditanza.
Le scelte coraggiose dei militari italiani hanno avuto anche un peso effettivo sugli eventi. Quelle scelte hanno reso più debole l’occupante e favorito anche concretamente la Liberazione.
Tra le vicende tragiche seguite all’Armistizio certamente un valore di simbolo di resistenza è stato assunto – è stato già ricordato – dallo scontro armato che la Divisione Acqui ingaggiò con le truppe tedesche a Cefalonia e Corfù. Migliaia di italiani caddero tra ufficiali e sottufficiali, tra morti in combattimento e trucidati dopo essere stati fatti prigionieri.
È stata Resistenza quella dei militari catturati o uccisi nei Balcani o nelle diverse isole della Grecia, dei militari fatti prigionieri all’arrivo nelle città italiane delle forze tedesche.
Nei No pronunciati allora – come ha osservato il Professor Zani – ci sono ragioni morali e civili, nate certamente dal giuramento di fedeltà alla corona e all’Italia, rafforzate da ragioni di coscienza e dal senso di umanità e della propria personale dignità.
A determinare la scelta di così tanti No vi fu indubbiamente anche la percezione di un tradimento profondo del regime. Nel farsi vassallo del nazismo, il regime rese evidente la sua distanza dai valori più autentici del popolo italiano. Il fascismo si contrappose di fatto alla nazione e spinse quanti erano stati formati, nella cultura patriottica e risorgimentale, a cercare una nuova casa da edificare per esprimere i sentimenti del Paese.
Il Professor Zani ha indicato tante personalità prestigiose, che affrontarono l’internamento, il campo di concentramento tedesco, per non disonorare la divisa e per non venir meno al giuramento prestato. Molti di questi coraggiosi testimoni sono diventati, con la Repubblica, anche artefici delle istituzioni democratiche.
Sono diventati maestri. I maestri possono davvero essere tali soltanto se sono anche testimoni coerenti dei valori di cui si fanno intrepreti.
La testimonianza di chi ha compiuto scelte coraggiose, che hanno contribuito a rendere possibile un futuro migliore, rappresenta un seme di speranza.
Va rivolta – e va espressa – la nostra riconoscenza a uomini che tanto hanno dato alla nostra libertà e al nostro benessere, quando l’esito era incerto e il rischio personale altissimo. Questa riconoscenza non deve mai venire meno.