Chip: una crisi asimmetrica e l’incognita dello smart working

Tra gli effetti collaterali della pandemia, quello indicato come “la crisi dei chip” dovuta ai lockdown e alla riorganizzazione delle produzione industriale – ci accompagnerà ancora per diversi anni. A dirlo non sono solo gli analisti di mercato, ma anche le voci più autorevoli dell’industria dei semiconduttori: Pat Gelsinger CEO di Intel ha dichiarato che ci vorranno almeno tre anni prima di poter considerare superata la crisi. Ma dove nasce questa crisi?

Qual è il settore più colpito? Qualcuno ci sta guadagnando?

Come abbiamo detto, il lockdown dell’anno scorso ha rallentato o addirittura bloccato alcuni importanti siti dove si producono i “substrati”; questi sono un ingrediente essenziale per costruire un chip completo. Il calo di produzione da un lato e la maggiore domanda di dispositivi elettronici generata dal lavoro e dalla didattica da casa hanno portato alla luce la fragilità di un settore con margini ridotti e che patisce gli scarsi investimenti degli ultimi anni.

Tutto ciò ha innescato un accaparramento di risorse i substrati con un vantaggio per le aziende del settore informatico. Qui la crisi c’è e si vede dal fatto che grandi realtà come AMD, Intel e Nvidia faticano a tenere il passo con la crescente domanda di computer. Ben più grave è la crisi nel settore dell’automotive: le auto moderne hanno più bisogno di chip che di carburante, ma questo mercato è più lento e le case automobilistiche si sono trovate in una posizione di secondo piano rispetto a quelle dell’elettronica di consumo. La crisi dei chip, insomma, ha colpito tutto il settore industriale ma in modo asimmetrico: nella corsa al silicio c’è chi forte di una pregressa posizione di vantaggio ha fatto scorte o messo al sicuro i propri ordinativi.

C’è chi poi come Intel ha deciso di fare un passo in più: nei prossimi anni saranno spesi almeno 20 miliardi di dollari per potenziare i siti industriali negli Stati Uniti e in Europa per avere una produzione più vicina e diversificata su base geografica. In tutto ciò si innesta la speculazione delle aziende che producono i “substrati”: la domanda è altissima, la disponibilità è poca e le leggi di mercato mettono in evidenza il loro profilo più cinico.

Dopo anni di marginalità ridotte, oggi chi è in grado di produrre questo componente tanto ricercato ha pieno controllo del prezzo di mercato. Le acque si calmeranno, ma restano delle incognite: la scuola tornerà in presenza, ma lo smartworking ha cambiato per sempre il modo in cui lavoriamo? Quanto dovremo informatizzare le nostre case trasformandole in luoghi di lavoro permanenti? Cambieranno le nostre necessità di usare l’auto per spostarci, soprattutto nell’ottica sempre più green delle politiche ambientali?

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