Rotondi (FI): “La mia idea su Crespi e Zambetti è che non erano delinquenti”

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AgenPress. Insorge un popolo trasversale di politici e intellettuali a favore di Ambrogio Crespi, condannato ieri in Cassazione per collusione con la ’ndrangheta. È una storiaccia del 2012, che costò a Formigoni la poltronissima del Pirellone, dopo l’arresto di un suo assessore, Mimmo Zambetti.

La procura sosteneva -con larga documentazione- che Zambetti avesse finanziato un gruppo criminale in cambio di quattromila voti determinanti per la sua elezione. Crespi era il consulente elettorale di Zambetti (come lo è stato di mezzo mondo politico italiano di destra e di sinistra). Non ho elementi per raccontare quale sia la supposta collusione di Crespi con le eventuali amicizie pericolose di Zambetti.

Preferisco dirigere la mia missione impossibile verso la difesa dell’uomo nero di questo romanzo criminale: Zambetti, l’assessore amico dei criminali, eletto coi voti della ’Ndrangheta.

Facciamo un passo indietro. Conosco Zambetti dal 2000, fummo colleghi nel consiglio regionale lombardo, nacque tra noi un’amicizia che dura ancora oggi, e che dichiaratamente ispira queste righe. In ventuno anni Mimmo mi è sempre apparso una persona perbene. Non è mai stato coinvolto in indagini, pur avendo amministrato per tutta la vita la cosa pubblica.

Sarebbe stato eletto coi voti della ’Ndrangheta. Diremmo a Roma: ma de che?Zambetti i voti li ha sempre avuti, e se li è portati appresso nel pellegrinaggio dc della seconda repubblica da Dc a patto Segni, da Cdu a Pdl, sempre candidato, sempre eletto a furor di popolo, venti, trenta voti a paese, un’onda costante e inarrestabile.

Non lo racconta solo il sodale democristiano, ma esperti come Antonio Noto e D’Alimonte: entrambi hanno firmato una perizia che esclude nell’ultima elezione di Zambetti una concentrazione territoriale di preferenze tale da confermare la supposizione della procura, poi confermata dalle sentenze.

La verità è che Zambetti non è riuscito a spiegare ciò che confessò dopo il primo arresto: lui aveva sì dato una somma ai due supposti delinquenti, ma ben sapendo che non erano della Ndrangheta, semmai cedendo alle loro pressioni sempre più ultimative. Certo, Zambetti ha sbagliato. A maggior ragione se è vero che gli minacciavano i nipotini, non doveva dirigersi in banca per risolvere il problema; doveva andare nel primo commissariato, denunciarli e farli arrestare.

Io non sto facendo la difesa integrale di Zambetti. Dico solo che non è un colluso con la ’Ndrangheta, semmai un frescone messo in un sacco da due millantatori che le stesse sentenze successive hanno riconosciuto non essere manco appartenenti alla ’Ndrangheta.

Non a caso il procuratore generale della Cassazione aveva chiesto di eliminare per tutti il capo di imputazione relativo all’associazione mafiosa. Niente da fare, la mannaia della Cassazione ha assestato il terzo colpo di conferma sistemica della prima narrazione investigativa.

Le sentenze si rispettano, naturalmente, e i magistrati avranno avuto ragioni che la mia ragione non riesce a individuare. La mia impressione è che sia prevalsa la volontà di una punizione esemplare, un riflesso condizionato di fronte all’escalation -quella sì impressionante- della malavita organizzata nelle istituzioni e nella economia della Lombardia.

Io resto della mia idea sui protagonisti di questa brutta storia: ingenui, forse cinici, mai delinquenti. Pur se oggi varcheranno il portone di San Vittore, ove soggiorneranno per molti anni per essersi mescolati con quell’attività mortalmente pericolosa che è diventata la politica democratica.

E’ quanto dichiara, in una nota, Gianfranco Rotondi vice capo gruppo di Forza Italia alla Camera e Presidente della fondazione Dc.
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