AgenPress – “Il clima un po’ rintronato e annoiato del primo giorno del 2022, ha contribuito a generare una polemica mediatica tra Massimo D’Alema e alcune personalità del Pd. L’ex Presidente del Consiglio, nell’incontro di Art 1 per gli auguri di Buon Anno, ha definito, secondo la ricostruzione di Giovanna Casadio su Repubblica, la fase renziana del Pd, “una deriva disastrosa, una malattia che fortunatamente è guarita da sola, ma c’era.” Sulle parole di D’Alema, è intervenuto, tra gli altri, Gianni Cuperlo, il quale un po’ piccato ha sottolineato che “la ‘malattia’ dem di certo non è guarita da sola ma è guarita perché c’è chi in quel partito è rimasto e ha combattuto a viso aperto anche per sconfiggere una linea sbagliata.”
Lo scrive in un post Stefano Fassina, Deputato di Leu.
“Da persona informata dei fatti, portatore di posizioni piuttosto divergenti dalla linea di Matteo Renzi, ripeto qui la principale valutazione espressa a motivo delle dimissioni da Vice Ministro dell’Economia nel Governo Letta prima e dell’uscita dal Pd poi, quando il consenso verso l’ex Sindaco di Firenze era all’apice: la fase renziana del Pd non è stata una malattia, ma l’interpretazione estrema, abilissima e spregiudicata dell’impianto originario del Pd, della matrice liberal-democratica dell’atto fondativo al Lingotto, nel 20072.
“È stato al Lingotto dove si è celebrata la sparizione del lavoro come interesse specifico e distintivo da rappresentare, si è riconosciuta esplicitamente al mercato -con un Blairismo fuori tempo massimo- la primaria funzione regolatrice della società e si è esaltato un europeismo acritico in funzione di ‘vincolo esterno’ progressivo e di legittimazione esclusiva al governo. Il Jobs Act, fiore all’occhiello di Matteo Renzi, è tratteggiato al Lingotto da Pietro Ichino, primario riferimento per le politiche economiche e sociali dell’allora Segretario Nazionale Veltroni.
“L’agenda Monti è la nostra agenda” era il mantra della classe dirigente veltroniana in prima fila anche nel Pd guidato da Bersani, quando Renzi non era ancora sceso a Roma e non troneggiava al Nazzareno. Per inciso: i “montiani” del 2012 sono sostanzialmente gli stessi che, a 10 anni di distanza, sostengono che “l’agenda Draghi è l’agenda del Pd”.
Purtroppo, il difetto di origine del Pd non è stato corretto, anche perché nel Pd, a cominciare dagli ex Democratici di Sinistra comodamente assisi a fianco di Renzi regnante, dopo la caduta dell’ex Presidente del Consiglio, si è opportunisticamente scelto di rimuovere il problema e fare di Matteo Renzi il capro espiatorio, il virus inspiegabilmente entrato in un corpo sano a generare la ‘malattia’. Ed è stata proprio la larghissima prevalenza, tra noi fuoriusciti dal Pd, dell’interpretazione della “deriva renziana” come “malattia” a segnare il flop delle nostre improvvisate avventure politiche.
Quindi, la malattia del Pd non è guarita, nonostante ‘c’è chi in quel partito è rimasto e ha coraggiosamente combattuto -come Cuperlo- a viso aperto anche per sconfiggere una linea sbagliata’. Ricordo che Renzi ha stravinto il congresso del Pd non soltanto nel 2013, dopo la sconfitta di Bersani. Ha rivinto, con un consenso di popolo democratico ancora maggiore, anche le primarie del 2017, dopo la batosta referendaria del 2016 e la botta ricevuta dal M5S nelle elezioni amministrative nelle grandi città nella primavera precedente.
In sintesi, al dominio di Renzi nel Pd hanno posto fine gli elettori: oltre che negli appuntamenti ricordati, in via definitiva il 4 marzo 2018.
Certo, aiutati da chi è rimasto nel Pd ed ha combattuto da dentro e da chi dal Pd è uscito e ha combattuto da fuori. Ma l’impianto difettoso del Pd rimane, sebbene, dopo l’avvento di Zingaretti e Letta, implicito e bilanciato dal timido affacciarsi di qualche vocina laburista e Keynesiana, sospinta dal cambio di stagione culturale e politica.
In conclusione, mi permetto di sottolineare che c’è un enorme lavoro culturale e politico da affrontare per riportare la Sinistra, dentro e fuori il Pd, a fare il suo mestiere”.