AgenPress. Oggi la Chiesa cattolica ricorda e celebra san Francesco. Di Francesco la figura, la vita e la testimonianza rivestono un significato profondo, non soltanto per i credenti. Il Parlamento della Repubblica ha infatti voluto riconoscere il 4 ottobre come momento dedicato ai valori universali di cui San Francesco e Santa Caterina, patroni d’Italia, sono espressione, qualificando questa giornata come “solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”.
Vi è sapienza in queste norme dettate dal legislatore.
Raccolgono anche il senso del messaggio spirituale del Santo e indicano alla nostra comunità un cammino di speranza, di condivisione, di attenzione anche nei confronti della natura che ci è madre e a cui non abbiamo portato il rispetto dovuto.
Affermazione di questi sentimenti è la tradizione della “Lampada votiva”, offerta dai Comuni d’Italia. Un gesto di fraternità che è prova di unità ed è espressione della pluralità che rende il nostro Paese così ricco di esperienze, di bellezze, di creatività, di passioni civili.
San Francesco è una delle radici antiche della nostra identità.
La forza profetica delle sue scelte di vita ha esaltato valori che sentiamo vivi per il domani dell’Italia, dell’Europa, del Mediterraneo, del mondo. La pace, anzitutto. La nostra Costituzione l’ha, coerentemente, iscritta come fondamento e traguardo della nostra comunità.
Quella pace tradita proprio nel cuore dell’Europa, che, nella prima metà del secolo scorso, aveva conosciuto gli abissi del male e si era riscattata con nuovi ordinamenti interni e internazionali. Non ci arrendiamo alla logica di guerra, che consuma la ragione e la vita delle persone e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni. Che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione. E allora la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra. E allora il dialogo. Per interrompere questa spirale.
Sono trascorsi ottocento anni dall’incontro tra Francesco d’Assisi e Malek al-Kamel. Ed è la sincera volontà di dialogo ciò cui sono chiamati anzitutto i Paesi e le istituzioni, per garantire futuro all’umanità. La pace è un diritto iscritto nelle coscienze e rappresenta l’aspirazione più profonda di ogni persona, appena alza lo sguardo oltre il suo presente.
La pace non è soltanto assenza di combattimenti bensì – ci ricorda san Francesco – è connaturata all’armonia con il Creato. Quando si consumano a dismisura le risorse, quando si depreda la natura, quando si creano disuguaglianze tra i popoli, quando si inaridisce il destino delle future generazioni, ci si allontana dalla pace.
Dobbiamo riparare, restituire.È la grande urgenza della nostra epoca. Non abbiamo altro tempo oltre questo. È un compito che riguarda tutti noi – nessuno è irrilevante – nessuna buona opera è inutile. È un compito che va svolto insieme.
Il Papa, che per primo ha scelto il nome di Francesco – e a cui rivolgiamo da Assisi un saluto deferente e riconoscente – ci ha offerto una chiave di interpretazione e di impegno parlando di “ecologia integrale”. È proprio questa la sfida.
Equilibrio ambientale da ricomporre; giustizia sociale da perseguire rimuovendo gli ostacoli che le contingenze frappongono; diritto di ogni donna e di ogni uomo a sviluppare appieno la propria personalità. Con la sua vita, con le sue rinunce, divenute pienezza, san Francesco aveva compreso in anticipo e si è posto alla testa di quanti vogliano condividere questa visione di salvezza per l’umanità. I gesti compiuti oggi in questa Basilica non rappresentano, quindi, un rituale.
Corrispondono alla consapevole rivendicazione del cammino che la Repubblica ha saputo compiere con la ricostruzione nazionale e lo sviluppo dopo la dittatura e la guerra, consolidando democrazia e libertà, recando nel mondo il contributo di un Paese operoso, creativo, aperto alla cooperazione e all’incontro tra le culture.
Sono gesti, quindi, che avvertiamo come un vincolo morale, per esprimere l’assunzione di valori e di criteri di vita. La Conferenza episcopale italiana ha voluto ricordare, in questa occasione, tutti coloro che, con sacrificio, talvolta anche della propria vita, si sono prodigati per contrastare il Covid19 e le sue molteplici conseguenze e, insieme, per ricordare le tante vittime di questa pandemia. Un atto di riconoscenza collettiva e un gesto di memoria riguardo a una calamità senza precedenti che ha colpito il nostro popolo.
Un ringraziamento per gli operatori della sanità anzitutto, per tutti i militari e i civili che sono stati volto e braccia delle istituzioni, per gli operatori dei servizi essenziali, per le famiglie che hanno sopperito con amore a ogni genere di carenza, per i volontari che hanno portato fraternità dove c’era dolore, conforto e amicizia dove cresceva la paura.
Quella drammatica emergenza ha reso evidenti sentimenti radicati. La solidarietà, la responsabilità verso gli altri, il senso del dovere. Abbiamo saputo affrontare insieme i momenti duri e dolorosi della pandemia grazie all’apporto della scienza, all’organizzazione sanitaria e alla professionalità del suo personale. E – va sottolineato – grazie a quel senso di comunità che è presente anche se, talvolta, sottovalutato e che sa tradursi in comportamenti responsabili e attivi. È accaduto nei decenni passati. Si è ripetuto.
È stata una preziosa ancora di salvataggio. La pandemia ci ha ricordato i nostri limiti. Ci ha costretti a ripensare a ciò che è essenziale e a ciò che è superfluo. Ci ha fatto toccare con mano quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri. Anche a livello internazionale, con un’Europa che ha saputo essere protagonista positiva, aperta anche al sostegno verso popoli meno fortunati in altri continenti.
È con questo senso di comunità che ci rivolgiamo nuovamente, con il nostro pensiero, ai tanti concittadini che non ci sono più, ai familiari che ancora li piangono, a coloro che – nei giorni più terribili – non hanno avuto neppure il conforto di un parente al capezzale o di un funerale.
La pandemia non è definitivamente sconfitta, anche se l’azione dei vaccini e la risposta responsabile degli italiani ne hanno frenato l’espansione, ne hanno ridotto grandemente la pericolosità e hanno salvato la vita a decine di migliaia di persone.
Vi sarà ancora bisogna di intelligenza collettiva e responsabilità. Il magistero di Francesco d’Assisi ha un preminente valore religioso, che le istituzioni della democrazia hanno il dovere di rispettare. Contiene, tuttavia, anche un messaggio che al di là della fede interroga ciascuno: Francesco attribuiva maggiore importanza alla coerenza dei comportamenti piuttosto che alle parole che li descrivono e li interpretano.
Il Vangelo sine glossa di Francesco ne costituisce un esempio. La sua vita, la sua Regola ne sono state ulteriori illuminanti dimostrazioni. Più che le parole i comportamenti parlano; e la coerenza è la modalità, la condizione per dialogare in modo autentico.
Le religioni – tutte – hanno responsabilità nella costruzione della pace. Scavano fossati quando legittimano la violenza e il sopruso, se giustificano comportamenti di morte.
Diventano straordinari vettori di riconciliazione e di crescita quando professano con determinazione lo spirito del dialogo e dell’accoglienza, quando riconoscono l’umanità nell’uomo, in ogni persona, anche in quelle di altri fedi. Abbiamo bisogno dello spirito di Assisi; e che si propaghi! Pace, libertà, giustizia, democrazia si difendono con strumenti di pace, di libertà, di giustizia, di democrazia. I mezzi sono parte dei fini; e devono essere con essi coerenti.
Ci avviciniamo all’ottocentesimo anniversario della morte di Francesco d’Assisi. A lui guardiamo come a uno dei padri della nostra civiltà, come a un visionario che plasma la realtà, capace di indicare un percorso verso un futuro al quale intendiamo essere fedeli.
Un futuro migliore! È questo, oggi, da Assisi, l’augurio per l’Italia e per il mondo.