La debolezza della modernità. Se Nietzsche resta in qualche angolo del tempo Marx è completamente fuggito. Non si sono mai dati la mano

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AgenPress. Non è assolutamente vero che Nietzsche e Marx si davano la mano. Un costruttore di pensiero nella decomposizione delle idee e un ideologo del materialismo teologico non potevano darsi la mano. È la farsa del relativismo che si vuole mettere in atto e il risultato è proprio quella debolezza che la cultura sia laica che cattolica portano nel teatro dell’ovvio. Non si vuole prendere atto che siamo dentro le macerie e siamo diventati anche noi delle macerie prurulenti che lasciano intorno delle rovine in frammenti.
Marx non è un pensiero. È una idea che ha fatto del suo storicismo l’invenzione di una “cosa”, ovvero della “Cosa”. L’assorbimento della massificazione della morte che si consuma nella storia in un asservimento della materia. L’assimilazione del non simile. L’individuo che non è persona, ma è inesistente senza la massa o senza il collettivo. L’individuo appunto che diventa “cosa” non ha spiritualità o “anima” e diventa una correlazione con l’oggetto come proiezione del caso.
In Nietzsche c’è il tragico e il destino che convivono con il caos sino a toccare le sponde dell’al di là del bene e del male che fa del Cristo un “ecce homo”. Il sopravvento del tutto è il sopraggiungere della metafisica o del meta – fisico che Marx non ha mai conosciuto e che Nietzsche ha dolorosamente abitato, attraversato e ancorato alle porte della disperazione del tempo. Entrambi non comprendono ancora quell’ “essere gettati nel mondo” che proietterà Heidegger verso l’essere che per esistere ha necessariamente bisogno del tempo. Ma Pascal aveva ricucito il senso della verità con il dubbio e Kierkegaard aveva restituito alla vita la temporalità dell’agonia. Ma questi ultimi non erano affascinati dall’ideologia.
La metafisica è religiosità. La religione della spiritualità si trasforma in urlo agonizzante per la vita e per la consapevolezza che il dolore del tempo ci salverà attraverso la speranza. Dopo Nietzsche si entrerà nel crepuscolo. In quel crepuscolo della modernità che lascerà intorno la cenere dei pensieri che Cioran chiamerà crepuscolo del pensiero. In mezzo cooabita la visione della estraneità che si dissolverà nella caduta e nella rivolta, il cui vero interprete resta Camus.
Ma Marx non è che sia superato. Non c’è. Lo si trova in Sartre e nella scuola marcusiana ovvero di Francoforte. Ciò vuol dire che l’annientamento dell’uomo sfida l’umano troppo umano che non riconosce, quest’ultimo, alcuna motivazione ideale alla ideologia stessa. Lo stesso Cioran, interprete di un mondo completamente sfracellato, non accetta la visione dall’ideologia. Compie una vera metamorfosi del concetto di idea. Spoglia l’idea dal suo incipit singolare e crea la sua frammentazione risolvendo il tutto in Pensiero. Lo fa con la consapevolezza di togliere alla idea l’errore di trasformarsi in ideologia. È chiaramente una operazione anti hegeliana, perché la scorpora dalla “passione” della fenomenologia. Cioran spacca il guscio della prassi e fa dell’azione il dubbio del meta-fisico. È un concentrato di mosaico adottato anche da Sgalambro nella “morte del sole”. Quando il sole muore ci resta la memoria, ovvero un tempo che non c’è più, ma bisogna vivere la notte sia come ombra che come buio.
È ancora Nietzsche che interpreta il viaggio del viandante che cerca il deserto perché l’infinito invito al viaggio di Baudelaire necessita del mistero alchemico di Mallarmè. Può reggere tutto ciò? Credo di no. La pietra filosofale prima di essere tale era semplicemente roccia dura o era il masso di Sisifo. Ma Sisifo incarna il mito e il mito senza un taglio di bosco nel quale può intravedersi un dettaglio di luce non ha senso. Ognuno di noi o cerca o è trovato. Cosa significa questo? Che in qualche parte del tempo e dell’essere siamo stati o saremo un piccolo spazio aurorale.
È certo che Maria Zambrano è al confine della ragione poetica perché, come gli antichi sciamani, si getta heideggerianamente nel mondo, per aspettare nell’esilio delle solitudini la Grazia. Si esce dunque dal labirinto. Mentre Nietzsche ci resta e Marx è completamente sradicato perché finisce nella sua storia delle cose. Insomma il disegno della Grazia è l’utopia benedicente dei mistici. Aspetto che Marx non ha mai conosciuto o mai compreso e che Pitagora e Seneca avevano già disegnato in una geografia di miti, di archetipi e di simboli. Saranno Paolo, Agostino e Gioacchino da Fiore a realizzare la civiltà del sacro che rispetta l’umano.
Nei volti degli archetipi della modernità l’incarnazione di Zarathustra di Siddhartha e di Anatol mostreranno la tragedia e la pietà di noi eredi flagellanti ai piedi della Croce. Ha perfettamente ragione Cioran quando afferma che noi moderni, pur non riconoscendoci nella modernità, siamo eredi e testimoni dei flagellatori e dei flagellati. In tutto questo Nietzsche e Marx non si sono mai dati una mano. Due costruttori, dunque, che hanno annientato l’uomo nella tragedia e l’uomo nella storia. Comunque se Nietzsche resta ancora in qualche angolo Marx è completamente fuggito.
Pierfranco Bruni
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