Cicchitto (ReL): i lampi del becero populismo M5s e il Paese al buio senza le riforme

Il referendum sul taglio dei parlamentari cui ha ceduto anche il Pd maschera l’assenza di iniziative in grado di portare l’Italia fuori dalla crisi: dalla riforma della giustizia a una seria politica industriale, il governo lascia campo aperto al demagogo Salvini


AgenPress. Tutto si lega: il referendum sul taglio dei parlamentari, la tutela della salute di fronte a una persistente pandemia, la politica economica, la politica per il Mezzogiorno, la giustizia. Tutto si tiene se ci si colloca su una linea riformista alternativa sia al sovranismo oggi prevalente nel centrodestra, sia varie forme di populismo, da quello antiparlamentare e giustizialista dei grillini, a quello fondato sui bonus, sui sussidi, sull’assistenzialismo, su un tradizionale mentalismo puramente quantitativo tipico del Pd.

La via maestra di una posizione riformista sulla questione del numero dei parlamentari è quella del monocameralismo, una Camera che vota la fiducia ed esercita il ruolo politico fondamentale. Invece il taglio dei parlamentari oggetto del referendum del 20 settembre, addirittura scisso dalla riforma elettorale è una controriforma, ispirata a una pura e semplice logica antiparlamentare.

Il che sta nella subcultura dei 5S e nel caso di un eventuale successo del Si la vittoria se l’ascriverebbe solamente Luigi Di Maio. Mentre Nicola Zingaretti farebbe la figura del convitato di pietra. Il Pd non avrebbe solo e soltanto un ruolo ancillare, ma sarebbe scornato soprattutto per non aver portato a casa la legge elettorale di conio proporzionale con sbarramento. Battersi per il No è impegno sacrosanto, visto che il taglio fa parte del populismo becero dei 5S intenzionati ad umiliare la democrazia rappresentativa e punire i parlamentari confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso del Parlamento. A ben vedere, ritroviamo errori e distorsioni anche nella politica sanitaria.

Stanno emergendo gli imitatori italiani di Trump, di Bolsonaro e il Johnson dei primi tempi del Covid 19, cioè fino a quando il premier non fu colpito dal virus e dovette cambiare politica sanitaria non più incentrata sull’“immunità di gregge”. Ciò va oltre la divisione tradizionale tra centrodestra e centrosinistra, sia il governo nazionale che la regione Lombardia dopo la dichiarazione di emergenza del 31 gennaio hanno tardato più di un mese per prendere provvedimenti incisivi assunti solo a marzo con un ritardo e con errori che hanno riguardato sia il trio Sala-Zingaretti-Gori che volevano riaprire Milano e Bergamo a febbraio sia l’ineffabile Salvini che voleva riaprire tutto sia l’arrogante Assolombarda che è stata frontalmente contraria alla zona rossa in Val Segrate, Bergamo Brescia e su questo ha piegato sia il governo che la regione Lombardia.

Adesso, in questa fase 2, la storia tende a ripetersi, una parte della destra e alcuni esperti sono su posizioni simili a quelle di Trump con conseguenze disastrose: pensare che è possibile incentivare la crescita in presenza di contagiati e di malati è un esercitazione di darwinismo sociale impraticabile nella realtà. In questo quadro critichiamo il governo per ragioni opposte a quelle della destra: per aver consentito la riapertura delle discoteche che di per se rendono impossibile il distanziamento sociale e improbabile l’uso delle mascherine, per non aver bloccato tempestivamente i viaggi nelle zone a rischio (Croazia, Grecia, Spagna, Malta) e comunque per non aver raggiunto una intesa con le regioni dotando gli aeroporti di tamponi.

In questo contesto, si inserisce il problema degli sbarchi dei migranti che il governo non sta gestendo con la dovuta attenzione lasciando spazio alla demagogia di Salvini. Per dirla tutta, l’Italia dei governi di destra e di sinistra non ha avuto una politica sulla migrazione la cui chiave sta nella nostra politica estera e in quella dell’Ue. In questo quadro è semplicemente imbarazzante il ritardo nel richiedere all’Europa il Mes. Che è il vero pomo della discordia tra 5S e Pd. Ma sono aperte anche le scelte riguardanti le politica economica globale e quella riguardante, in particolare, il Mezzogiorno. Come ha detto Draghi la via maestra deve consistere non nella moltiplicazione dei sussidi, ma nella concentrazione delle risorse italiane ed europee negli investimenti produttivi, nelle grandi infrastrutture materiali e immateriali, nella formazione e ricerca, nel costo del lavoro nell’economia verde e digitalizzazione. Tutto ciò implica un parziale cambiamento del meccanismo di sviluppo precedente a quello esistente prima della pandemia.

La sfida sta su questo terreno inedito capace di progettare una sorta di new deal, ossia un programma di ricostruzione che ponga le basi per una crescita di lunga gittata, senza la quale vivremo nel profondo rosso dell’indebitamento, con sopra la testa dell’Italia la spada di Damocle di Bruxelles. Per questa ragione, le risorse del Recovery Plan servono per il rilancio e non per tappare buchi e praticare interventi a pioggia. O cambiare o perire. Per intanto, il governo Conte sul Mezzogiorno si è “sprecato” con la proposta evergreen del Ponte sullo stretto con una novità che potrebbe anche essere un tunnel. Guarda caso, non ha parlato del caso Taranto: che fine farà lo stabilimento siderurgico ArcelorMittal.

Taranto è la grande metafora di crisi dell’apparato industriale italiano. Bisogna capire se l’Italia dovrà essere un grande parco giochi, una sorta di Disneyland, portatore di nuovi posti di lavoro, oppure una realtà manifatturiera che sappia coniugare sanità e ambiente. Insomma, Taranto non può finire come Bagnoli. Ragion per cui, il governo dovrà dare delle risposte altrimenti avremo un “settembre nero”, nel senso che se non ci sarà una prospettiva industriale: una riconversione o lo smantellamento dell’area a caldo dell’attuale acciaieria, Taranto sarà una polveriera.

Manca vuoi una politica industriale vuoi una visione. Sul Meridione d’Italia non c’è il colpo d’ala sperato, anzi, il contrario. La decontribuzione limitata a 3 mesi è insensata o meglio rischia di essere uno dei tanti bo nus. Ha senso una decontribuzione strutturale accompagnata da investimenti reali nelle infrastrutture, nella banda larga, tenuto conto che nel Sud Italia vanno fatte manutenzioni e nuove opere pubbliche. Senza questi investimenti, il turismo, che invece è una realtà già esistente, grazie ai privati, avrà un lento declino, perdendo posizioni di mercato rispetto alla competizione di alcuni paesi del Mediterraneo. E sul Mediterraneo apriti cielo! Nei decenni passati abbiamo perso l’occasione di avere una politica dei porti: Taranto, Cagliari, Gioia Tauro…, e attualmente per una politica estera inesistente non contiamo un ette. Fermiamoci qui, per carità di patria. Infine la giustizia. Ancora la giustizia civile, penale e sono un ostacolo sia allo sviluppo delle basi produttive esistenti sia all’arrivo di investimenti esteri. Ma ogni discorso sulla giustizia penale privo di qualunque incisività se non si parte dallo sdoppiamento delle carriere. E non solo.

Il problema dei problemi è come comporre il Csm senza il predominio delle correnti politicizzate all’interno della magistratura. Per intanto, avere due Csm per superare il predominio dei pubblici ministeri per cui finora essi hanno gestito come hanno valuto le carriere dei magistrati giudicanti con conseguenze di rapporti molto più stringenti e condizionanti di quello che finora si è raccontato a proposito della comune frequentazione di bar e trattorie. Tuttavia, la giustizia è anche carceri che in Italia sono delle vere “discariche sociali” dove oltre al sovraffollamento di detenuti risulta un numero di suicidi più alto dell’Unione europea.

Nei mesi passati ci sono state rivolte e morti, ma nessuna risposta sul perché di ciò, è stata data dal ministro della Giustizia, che ha preferito tacere. Gli unici a lottare per migliorare le condizioni dei penitenziari e dei detenuti sono stati i militanti del Partito Radicale di Pannella. Gli ultimi Mohicani per una causa giusta nel disinteresse generale. In conclusione: tutto si lega.”

Lo dichiara al quotidiano Il Riformista Fabrizio Cicchitto (Presidente Riformismo e Libertà).

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