Genthon (Fao): “Lo sfruttamento minorile? Vi spiego quali sono le cause”

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Intervista alla dottoressa Ariane Genthon, funzionario di progetto della Fao: dalle cause alle possibili soluzioni per cancellare il lavoro minorile dalla faccia del mondo


Agenpress. “Il 12 giugno si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, un fenomeno che priva i bambini e le bambine della loro infanzia e che ne mette a repentaglio lo sviluppo integrale. Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà.

In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo. Faccio appello alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I Bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità“. E’ l’appello che Papa Francesco, lo scorso 10 giugno, ha lanciato al termine dell’udienza generale in vista della Giornata mondiale contro lo sfruttamento de lavoro minorile che si celebra oggi, istituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) nel 2002.

I dati dell’Ilo

Sono 152 milioni i minori – 68 milioni bambine e 88 milioni bambini – vittime del lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la loro salute, sicurezza e sviluppo morale. L’abolizione del lavoro minorile rappresenta una priorità per l’azione dell’ILO sin dalla sua istituzione nel 1919. Con l’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure immediate per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025.  L’ILO ha lanciato insieme ai suoi partner l’“Alleanza 8.7”, un’alleanza mondiale per porre fine al lavoro minorile, al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta degli esseri umani.

Il lavoro minorile in agricoltura

Nel settore dell’agricoltura si concentra oltre il 70% del lavoro minorile di tutto il mondo. Oltre 132 milioni di bambini e bambine sotto i 15 anni, lavorano nei campi e nelle piantagioni. Un fenomeno globale che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, ma anche quelli industrializzati. Quello agricolo è uno dei tre settori più pericolosi – insieme a quelli edile e minerario – in cui i bambini possono trovarsi a lavorare. Interris.it ne ha parlato con la dottoressa Ariane Genthon, della Fao, funzionario di progetto per il contrasto al lavoro minorile nell’agricoltura.

L’intervista

Dottoressa, oggi si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Quanti bambini sono vittime di questa piaga?
“L’organizzazione delle Nazioni Unite che ha la responsabilità di raccogliere e divulgare in maniera regolare i dati è l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Pubblica i numeri a livello globale ogni 4 anni. L’ultimo dossier è del 2017 e parla di 152 milioni di bambini lavoratori, di cui 108 milioni nel settore dell’agricoltura, più del 70%. Questi numeri sono positivi, da una parte, perché in diminuzione rispetto a quelli del 2012-2013. Purtroppo nel settore dell’agricoltura invece sono aumentati. I dati riguardano sia i Paesi in via di sviluppo che quelli detti ricchi”.

Quali sono gli Stati dove questo problema è più forte?
“Sono l’Africa, con 72 milioni di bambini, l’85% nel settore dell’agricoltura, ossia un bambino su cinque. E poi la regione Asia-Paicifico sono 62 milioni, i minori sfruttati. Anche altre regioni sono interessate dalla problematica, ma in Africa e nell’Asia-Pacifico si verifica un picco dei minori sfruttati”.

Papa Francesco, nei giorni scorsi, ha promulgato una lettera apostolica in forma di motu proprio sulla trasparenza finanziaria, istituendo una piattaforma sulla quale le aziende possono registrarsi per partecipare a bandi e gare di appalto. E’ prevista l’esclusione per quelle imprese che siano sottoposte a indagini o condannate in primo grado per sfruttamento del lavoro minorile, oltre che per altri reati. Un esempio per tutto il mondo del lavoro?

“Certamente è un buon esempio. Rispecchia anche altre leggi e decreti promulgati per combattere, a livello di filiera, il lavoro minorile. L’obiettivo è rendere responsabili e verificare le aziende affinché non si verifichino condizioni di lavoro inaccettabili, come lo è il lavoro minorile. Ci sono altre leggi pioniere a livello europeo: in Francia c’è quella sul dovere di vigilanza, nei Paesi Bassi sarà a breve in vigore una legge su ‘due diligence’, il dovere di verifica delle filiere, questa norma sarà focalizzata sul lavoro minorile. Queste misure aiutano e sono ben accolte per debellare questa piaga. Il problema è che la maggioranza dello sfruttamento del lavoro minorile, almeno nel settore dell’agricoltura, è concentrato nelle filiere regionali o locali. Queste leggi sono soluzioni promettenti, importanti, purtroppo da sole non possono risolvere il problema”.

Quali sono gli Stati che hanno compiuto più progressi nel debellare questa problematica?

“Eliminare ogni forma di lavoro minorile fa parte dell’Agenda 2030 degli obiettivi durevoli dello sviluppo. Nel contesto di questa agende delle Nazioni Uniti è stata formata l’Alleanza 8.7, che prende il nome dall’indicatore per misurare gli sforzi e miglioramenti compiuti dai vari Paesi. Nell’ambito di questa alleanza ci sono i cosiddetti Paesi Pionieri, ossia quelli che su base volontaria riconoscono che al loro interno c’è la problematica del lavoro minorile e che hanno accelerato gli sforzi per eliminarlo. Tra loro ci sono l’Albania, il Vietnam, il Madagascar, la Mauritania, il Cile e altri”.

Quali sono le cause alla base dello sfruttamento minorile in agricoltura?

“Le cause all’origine del problema possono essere diverse. Coma Fao cerchiamo di intervenire su queste cause e ci si chiede perché ci sia questa domanda. Nel caso dell’agricoltura, il fattore che influisce maggiormente è la povertà delle famiglie che le spinge a far lavorare i propri bambini per mettere in tavola il cibo. Quello agricolo è un lavoro stagionale, molto duro, e spesso, in molti Paesi ci sono leggi poco chiare o poco applicate, in più è molto pericoloso perché si può venire in contatto con sostanze chimiche, a volte non c’è la possibilità di accedere facilmente all’acqua o all’ombra. Influiscono anche i cambiamenti climatici, la degradazione ambientale e dei conflitti che si possono svolgere prevalentemente in zone rurali. Ci ritroviamo con bambini che spesso sono coloro che devono ammortizzare con il loro lavoro delle condizioni di vita e contribuire alla sopravvivenza della famiglia. In altri casi può essere percepito come un’occasione dal bambino o dalla bambina di acquisire competenze, perché c’è un po’ di ignoranza. Il valore dell’educazione e la possibilità di poter ottenere di più grazie alla scuola non vengono presi molto in considerazione. La Fao cerca di rispondere a tutte queste cause educando sul modo di produrre, di fare agricoltura, con la promozione di alternative a pesticidi tossici, a metodi che permettono di avere un lavoro meno estenuante, adottando pratiche più moderne, promuovere delle infrastrutture o tecnologie per l’irrigazione”.

Come Fao, cosa chiedete ai governi per risolvere questo problema?

“L’obiettivo della Fao è quello di lavorare su un’agricoltura sostenibile e risolvere il problema della fame nel mondo. In questo ambito scrive il suo ruolo nel combattere lo sfruttamento minorile. Dove ci sono bambini che non hanno l’opportunità di studiare, non ci saranno future generazioni che saranno in grado di applicare nuove conoscenze, modernizzare l’agricoltura. Promuovendo un’agricoltura più sostenibile, che abbia meno impatto sull’ambiente, che permetta di lavorare in condizioni più sicure e avendo meno impatto sulla salute di coloro che coltivano i prodotti che mangiamo: sono questi gli ambiti in cui la Fao allaccia il dialogo con i governi”.

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