Censis. La sanità italiana è arrivata fragile all’appuntamento con il Covid

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AgenPress –  “Il Servizio sanitario nazionale si è presentato all’appuntamento con l’emergenza del Covid-19 piuttosto fragile. Non solo perché ha scontato una impreparazione sistemica rispetto alla prevenzione delle epidemie, ma anche perché nel tempo è stato minato nelle sue basi economiche e umane”.

Lo evidenzia il 54.mo Rapporto Censis, evidenziando come l’impegno pubblico nella sanità sia “inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei”. Inoltre, “al razionamento delle risorse economiche si aggiunge il mancato ricambio generazionale di medici e infermieri”.

Nel 2019 la spesa pubblica per la sanità ammonta a 116 miliardi di euro, quella pro capite a 1.922 euro. Per entrambe – evidenzia il Censis – l’andamento nel decennio è stato negativo, con un calo in termini reali rispettivamente dell’1,6% e del 3,3%. L’esito è un impegno pubblico nella sanità inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei. Nel 2019 l’incidenza della spesa pubblica per la sanità sul Pil italiano è pari al 6,5%, contro il 9,7% in Germania (dato al 2018), il 9,4% in Francia, il 9,3% in Svezia, il 7,8% nel Regno Unito (dato al 2018).

A questo si aggiunge il “mancato ricambio generazionale di medici e infermieri”: nel 2018 i medici impiegati nel Ssn erano 111.652, diminuiti di 6.410 unità rispetto a dieci anni prima (-5,4%), gli infermieri erano 267.523, scesi di 8.221 unità (-3%). Nel rapporto si evidenzia inoltre come l’emergenza sanitaria abbia “segnato il ritorno di una idea di malattia che fa paura, rovesciando quella rappresentazione rassicurante che si era imposta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e con la cronicizzazione delle patologie”. Il 65% dei cittadini pensa che la comunicazione sulle modalità di diffusione del virus, i dati sui nuovi contagi e i decessi abbia spaventato le persone senza renderle pienamente consapevoli di quanto stava effettivamente accadendo. Le percentuali arrivano al massimo tra i soggetti più vulnerabili: il 72,5% tra gli anziani e il 79,7% tra chi ha un basso livello di scolarizzazione.

“Uno dei capitoli più drammatici dell’emergenza sanitaria”, è stato “il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani”: per il 66,9% degli italiani si sapeva che tante case di riposo non garantivano agli ospiti adeguati standard di sicurezza e di qualità della vita, ma nel post Covid-19 diventa prioritario attivare reti integrate di assistenza per affiancare le famiglie troppo spesso lasciate sole nell’assistenza di malati cronici o non autosufficienti. La soluzione passa attraverso la figura dell’infermiere di comunità o di famiglia. Ben il 91,4% degli italiani la ritiene la soluzione migliore per l’assistenza e la cura di persone bisognose di terapie domiciliari e riabilitative.

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