Sbai: “Mi chiedo se sia il caso che una donna vittima di violenze in Italia debba continuare a denunciare”

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“Obbligata al velo integrale. Per pm “rientra nel quadro culturale”


AgenPress. “Mi chiedo se sia il caso che una donna vittima di violenze in Italia debba continuare a denunciare”. Così Souad Sbai, presidente della onlus “Acmid Donna”, commenta l’istanza di archiviazione presentata dalla Procura di Perugia al termine delle indagini sui maltrattamenti subiti da una giovane donna marocchina di 33 anni, immigrata in Italia, che aveva denunciato l’ex marito, connazionale di 39 anni, per averla segregata, minacciata, insultata e picchiata fino a farla svenire, sottoposta a maltrattamenti domestici per ben cinque anni.

“Questa assurda sentenza rischia di diventare un precedente ambiguo – sottolinea Sbai, che è anche responsabile nazionale Dipartimento Lega per l’Integrazione e l’Immigrazione e segue da tre mesi la situazione legale della signora – e assume particolare rilevanza anche in vista della giornata contro la violenza sulle donne, del prossimo 25 novembre. Nell’istanza inviata al giudice, gli inquirenti scrivono che “la donna non sarebbe stata mai minacciata di morte, né avrebbe subìto aggressioni fisiche tali da costringerla alle cure sanitarie” e che “costringerla a tenere il velo integrale rientra, pur non condivisibile in ottica occidentale, nel quadro culturale dei soggetti interessati”.

“Ma non si trattava solo di indossare il Burqa – evidenzia Sbai – nel corso del processo la donna ha dichiarato per tre volte che il coniuge la aveva sempre tenuta segregata in casa, per oltre cinque anni, sequestrandole i documenti. Gli unici contatti con l’esterno le vennero concessi solo quando doveva recarsi dal medico e quando aveva partorito i tre figli avuti dal marito-padrone. Figli che a loro volta hanno subito restrizioni e vessazioni psicologiche, il padre infatti gli ha concesso di frequentare le scuole dell’obbligo a malincuore, impedendogli una corretta integrazione con i compagni, poiché ha sempre proibito sia ai bambini che alla madre l’uso della lingua italiana.

“L’attenuante culturale-religiosa – ribadisce la presidente Sbai – è fortemente lesiva nei confronti delle donne vittime di abusi e violenze. Cosa significa, allora, che possiamo tollerare anche la lapidazione, il ripudio, le percosse continue in nome della cultura di appartenenza? L’incolumità e il rispetto della persona sono diritti fondamentali e vanno sempre tutelati. Per questo – conclude Sbai – l’avvocato della nostra associazione Acmid che tutela legalmente la donna ha già presentato ricorso contro la richiesta di archiviazione”.

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