AgenPress. Secondo le elaborazioni congiunte di AMSI (Associazione Medici di Origine Straniera in Italia), UMEM (Unione Medica Euromediterranea) e del Movimento Internazionale Uniti per Unire, dal 2020 al 31 ottobre 2025 sono arrivati in Italia 32.000 professionisti sanitari di origine straniera, di cui 10.240 medici e 21.760 infermieri.
Questo aggiornamento, che segna un incremento del 15% rispetto ai dati di luglio 2025, conferma una crescita costante dell’immigrazione sanitaria, in parallelo con l’aumento della domanda di personale nelle strutture pubbliche e private.
Grazie ai canali aperti dal Decreto Cura Italia e dal Decreto Ucraina, l’Italia ha potuto contare su un flusso regolare e qualificato di operatori sanitari, che hanno dato un contributo determinante durante e dopo la pandemia, sostenendo ospedali, RSA e assistenza territoriale in un contesto di persistente carenza strutturale di personale.
I numeri dell’immigrazione sanitaria 2020–2025
Le elaborazioni aggiornate di AMSI, UMEM e Uniti per Unire mostrano che l’85% dei professionisti sanitari stranieri (27.200 unità) è arrivato attraverso il Decreto Cura Italia, mentre il 15% (4.800) grazie al Decreto Ucraina. Tra gli infermieri, 18.496 sono entrati con il Cura Italia e 3.264 con il Decreto Ucraina.
Negli ultimi cinque anni, la crescita media annua dei professionisti stranieri nel Servizio Sanitario Nazionale è stata del 9,4%, con un incremento più marcato nel biennio 2023–2025, in coincidenza con le politiche di potenziamento dell’assistenza territoriale.
Le nazionalità più rappresentate tra gli infermieri sono Ucraina (26%), Romania e Moldavia (22%), Filippine (18%), India, Bangladesh e Pakistan (10%), America Latina (8%), Nord Africa (6%), Europa dell’Est e Balcani (5%) e altre provenienze africane e asiatiche (5%).
Per i medici, prevalgono Egitto (19%), Siria e Libano (15%), Tunisia, Marocco e Algeria (12%), India, Pakistan e Bangladesh (11%), Ucraina e Paesi dell’Est Europa (10%), America Latina (8%), Iran e Iraq (6%), oltre a altre nazionalità euro-mediterranee e africane (19%).
«Questi dati – commenta il Prof. Aodi – fotografano il contributo reale e crescente dei professionisti stranieri, che rappresentano una risorsa stabile e strutturale per la sanità italiana, rafforzando ospedali e strutture territoriali in un momento di forte carenza di personale qualificato.»
Le quattro fasi dell’immigrazione sanitaria secondo Aodi
«Siamo oggi nella quarta fase dell’immigrazione sanitaria – spiega il Prof. Aodi –.
La prima fase risale agli anni Settanta, Ottanta e Novanta, con l’arrivo di professionisti dal Medio Oriente e dal Nord Africa, insieme a colleghi provenienti da Grecia e da Paesi africani come Congo, Nigeria e Camerun.
La seconda fase, dopo la caduta del Muro di Berlino, ha visto crescere i flussi da Europa dell’Est, in particolare da Polonia, Moldavia, Romania, Ucraina e Paesi balcanici.
La terza fase è quella legata alle Primavere arabe, con un aumento di professionisti provenienti da Tunisia, Egitto e Libia.
La quarta fase, aperta con il Decreto Cura Italia e consolidata dal Decreto Ucraina, ha definito una nuova geografia della migrazione sanitaria, con arrivi costanti da Nord Africa, Europa dell’Est, Asia meridionale e America Latina, garantendo la continuità dei servizi sanitari e la tenuta del sistema nazionale.»
Chi arriva e da dove
«Dai Paesi arabi, africani ed europei – precisa Aodi – arrivano prevalentemente medici specialisti, fisioterapisti e farmacisti, mentre dai Paesi sudamericani e dell’Europa dell’Est provengono soprattutto infermieri e operatori sociosanitari altamente qualificati.
Questa distribuzione riflette la diversa organizzazione dei sistemi formativi e la disponibilità di percorsi professionali compatibili con i requisiti italiani.»
Un contributo vitale per il Servizio Sanitario Nazionale
«Questi professionisti – aggiunge Aodi – hanno operato in prima linea nei pronto soccorso, nelle RSA, nei reparti di emergenza e nelle terapie intensive, garantendo continuità e qualità delle cure durante e dopo la pandemia.
Oggi rappresentano un pilastro indispensabile e insostituibile della nostra sanità.»
Il Presidente AMSI invita il Governo e le Regioni a snellire le procedure di riconoscimento dei titoli esteri, a investire nella formazione linguistica e culturale, e a creare un registro permanente delle competenze per i professionisti sanitari stranieri.
«Solo così – osserva – potremo trasformare la diversità in valore, evitando sprechi di talento e favorendo un’integrazione professionale efficace e sostenibile.»
Come sottolinea il Prof. Aodi, «l’Italia è oggi un laboratorio avanzato di cooperazione sanitaria internazionale: formare e accogliere professionisti provenienti da altri Paesi significa investire nella qualità e nel futuro della salute globale.»
Il nodo del riconoscimento dei titoli e della piena integrazione professionale
Non tutti i professionisti sanitari arrivati in Italia tra il 2020 e il 2025 sono oggi pienamente impegnati nel sistema sanitario.
Una parte di loro ha dovuto rinunciare a causa delle lunghe attese burocratiche e dei ritardi nelle procedure di riconoscimento dei titoli di studio, mentre altri sono ancora in attesa di completare l’iter previsto dal Ministero della Salute o stanno cercando un impiego stabile nelle Regioni che applicano i decreti di assunzione straordinaria.
AMSI, UMEM e Uniti per Unire ribadiscono la richiesta al Governo italiano e al Ministero della Salute di regolarizzare tutti i professionisti entrati attraverso il Decreto Cura Italia (articolo 13) e il Decreto Ucraina, consentendo la piena iscrizione all’albo professionale tramite i registri proposti dalle associazioni, così da valorizzare il capitale umano già formato e presente sul territorio.
La salute globale come risorsa
«La salute non conosce confini – conclude il Prof. Aodi –.
Ogni medico o infermiere di origine straniera che lavora in Italia è un ambasciatore di cooperazione sanitaria e di dialogo interculturale.
La salute globale è la nuova frontiera: una rete di competenze e solidarietà che unisce i popoli, combatte le disuguaglianze e costruisce ponti dove altri vedono muri.
L’Italia deve continuare a essere Paese guida nel Mediterraneo sanitario, valorizzando l’integrazione come strumento di progresso e pace.»
