Impiantati in una giovane donna cardiopatica congenita due pacemaker senza fili per stimolare contemporaneamente atrio e ventricolo
AgenPress. Due “generatori wireless” per dare energia al cuore e mantenere regolare il battitodi una giovane donna affetta da una grave cardiopatia congenita. Si tratta di pacemaker leadless (senza fili) di nuova generazione che migliorano l’efficienza rispetto ai sistemi tradizionali. L’intervento, il primo di questo tipo eseguito all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, è stato realizzato nei giorni scorsi dal dottor Fabrizio Drago, responsabile di Cardiologia e aritmologia, e dalla sua équipe. «Questa micro tecnologia – spiega Drago – oltre ad avere l’efficienza funzionale dei vecchi sistemi, azzera anche i problemi estetici che da sempre determinano nei pazienti un disagio psicologico». L’Ospedale segue da anni i pazienti con cardiopatie congenite che raggiungono l’età adulta, garantendo continuità terapeutica.
UNA SOLUZIONE INNOVATIVA PER UN CASO COMPLESSO
La giovane donna, di soli 36 kg, è nata con una grave forma di cardiopatia congenita (tetralogia di Fallot) e, a causa della sua complessa condizione clinica, aveva avuto diversi episodi di infezioni dei precedenti sistemi di stimolazione del cuore. I dispositivi tradizionali prevedono infatti fili (elettrocateteri) e una tasca chirurgica sottocutanea, cioè una cavità realizzata sotto la pelle per ospitare il generatore di impulsi, che in alcuni casi possono portare a fenomeni infettivi. Le infezioni precedenti, quindi, non consentivano più un reimpianto tradizionale, rendendo necessario un approccio innovativo. Il pacemaker leadless è un micro-dispositivo grande pochi centimetri che viene posizionato direttamente all’interno del cuore passando da una vena della gamba. Non richiede fili né la creazione di una tasca sottocutanea e, una volta in sede, invia piccoli impulsi elettrici per mantenere il battito regolare e fisiologico, riducendo il rischio di complicanze come infezioni o sanguinamenti. Nonostante le sue dimensioni estremamente ridotte, la durata della batteria è comparabile a quella dei dispositivi tradizionali (7-10 anni).
Nel caso specifico, l’équipe ha impiantato due dispositivi: uno nell’atrio destro e uno nel ventricolo destro. Questa soluzione consente una stimolazione “sequenziale”, cioè coordinata, tra atrio e ventricolo, favorendo una migliore tolleranza alle attività quotidiane. «Il pacemaker leadless è un micro-device totalmente intracardiaco che si applica sulla parete interna del cuore per garantire una stimolazione adeguata e coerente con l’attività del paziente – precisa il dottor Drago – È adatto solo per alcuni casi specifici, ma offre importanti vantaggi: nessun catetere, nessuna tasca chirurgica, maggiore comfort psicologico ed estetico, e un’efficienza paragonabile ai sistemi tradizionali».
IL BAMBINO GESÙ E I CARDIOPATICI CONGENITI ADULTI (GUCH)
Negli ultimi decenni, grazie ai progressi della cardiochirurgia e della cardiologia interventistica pediatrica, circa il 90% dei bambini nati vivi con una cardiopatia congenita riesce a raggiungere l’età adulta. Questo ha portato alla crescita costante della popolazione dei cardiopatici congeniti adulti, indicati come pazienti GUCH (Grown Up Congenital Heart) o ACHD (Adults with Congenital Heart Disease). Pur avendo la patologia cardiaca sotto controllo, questi pazienti non possono considerarsi del tutto guariti e necessitano di controlli regolari e di un’assistenza specialistica per tutta la vita.
Per rispondere a questa crescente esigenza, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha istituito l’Unità Operativa Semplice di Cardiologia del Congenito Adulto, che nel solo 2024 ha preso in carico circa 3.000 pazienti. L’Unità, diretta dalla dottoressa Claudia Montanaro, si fonda su un approccio multidisciplinare che integra le competenze di cardiologi clinici, cardiologi interventisti, aritmologi, cardiochirurghi, radiologi, intensivisti, psicologi e altri specialisti coinvolti in base alle necessità di ciascun caso. «L’approccio personalizzato è un elemento imprescindibile nella gestione di questi pazienti – sottolinea la dottoressa Montanaro – fondamentale per accompagnare questi pazienti – spesso con storie cliniche complesse fin dall’infanzia – nella transizione all’età adulta e garantire loro la migliore qualità di vita possibile».