Reggio Calabria. Sgominata la “banda del buco”. Almeno 14 furti per un bottino di 450mila euro, 7 arresti

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Agenpress – L’indagine, denominata “Banda del buco” per l’abitudine di praticare fori nelle pareti, è stata avviata dai carabinieri a fine 2017 dopo una serie di furti commessi a Taurianova, Cittanova e Polistena.

I Carabinieri della Compagnia di Taurianova hanno arrestato

  1. Ascone Domenico nato il 12.12.1980, di Taurianova;
  2. Tudor Mihai nato il 11.1984 in Romania, di Cittanova;
  3. Cazacu Gianina Elena nata il 16.08.1980 in Romania, di Cittanova, sottoposta agli arresti domiciliari;
  4. Fosco Gabriele nato il 05.03.1975, di Cittanova;
  5. Fondacaro Saverio Alessandro nato il 01.11.1982, di Rizziconi;
  6. Giovinazzo Rocco nato il 12.01.1983, di Rizziconi;
  7. Giovinazzo Diego nato il 23.08.1975, di Rizziconi, sottoposto agli arresti domiciliari;

Tutti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti contro il patrimonio, furto aggravato, ricettazione, porto illegale di armi, violazione di domicilio, per aver preso parte ad un gruppo criminale dedito in modo sistematico e professionale ad una serie di furti all’interno di abitazioni ed esercizi commerciali e aziende in Taurianova, Cittanova e Polistena.

L’articolata indagine, convenzionalmente denominata “Banda del Buco” per l’abitudine di praticare vistosi fori in pareti e ostacoli nel compimento dei delitti, è stata avviata dai Carabinieri della Compagnia di Taurianova alla fine del 2017, dopo una serie di furti commessi a distanza ravvicinata a Taurianova, Cittanova e Polistena, e che avevano interessato plurime abitazioni private e aziende, provocando un rilevante allarme sociale.

I carabinieri hanno quindi avviato una minuziosa e complessa indagine attraverso l’analisi delle tracce lasciata dagli autori nel corso del tempo, arrivando ad individuare un comune “modus operandi” che ha fatto ipotizzare l’esistenza di una vera e propria batteria dedita in modo sistematico e molto professionale ai reati predatori nel territorio, con ingentissimi danni per i derubati. Il successivo supporto di attività tecnica di monitoraggio, e il progressivo sviluppo e approfondimento delle investigazioni ha consentito anche di ricollegare gli indagati a furti pregressi, con indagini ormai destinate all’archiviazione, che sono state “rilette” alla luce di quanto progressivamente scoperto e ricostruito dai carabinieri nel corso dei mesi successivi.

Il modus operandi individuato era molto caratteristico, poiché gli autori, durante l’esecuzione di ogni singolo furto, per accedere ai propri obiettivi, hanno sempre operato realizzando dei fori (nel muro di cinta, nel solaio o nella parete esterna dell’edificio da colpire, oppure, in alcuni casi, anche nelle casseforti da aprire). La velocità di azione dimostrata, il possesso di professionale e costosa strumentazione, le capacità tecniche di utilizzo e una dettagliata e profonda conoscenza del territorio, hanno sicuramente consentito al gruppo una certa possibilità di eludere le investigazioni per diverso tempo.

Gli indagati, che vivono nello stesso territorio, si conoscevano e si frequentavo ed erano già noti ai carabinieri e, secondo l’accusa, operavano con uno schema tipico e rituale, che prevedeva una accurata pianificazione, la disattivazione dei sistemi di allarmi con la rimozione delle telecamere e l’uso di sostanze come il “poliuretano espanso”, l’utilizzo di disturbatori di frequenza. Inoltre disponevano di strumentazione costosa e professionale per fare ingresso nei locali da svaligiare e aprire casseforti, utilizzavano passamontagna e utenze cellulari intestate a soggetti stranieri per eludere le indagini e rubavano auto prima di commettere i furti. Un’altra peculiarità della banda erano i contatti con la criminalità organizzata. Frequenti erano i colloqui e gli incontri con esponenti della cosca Facchineri e Zagari-Fazzalari, di Cittanova e Taurianova, nei periodi concomitanti ai furti, legati, secondo gli investigatori, alla necessità di ottenere l’autorizzazione o comunque il permesso di compiere i furti “sfatando – affermano i carabinieri – il falso mito che ove le cosche di ‘ndrangheta sono forti, non vengono commessi delitti di criminalità comune e predatoria”.

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