Intervista esclusiva SprayNews a Luigi Barone, Consigliere per il Mezzogiorno della Federazione Italiana Consorzi e Enti per l’Industrializzazione

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AgenPress. “Autorizzazione unica e tempi certi. Per ripartire oltre al Recovery Plan, servirà un drastico snellimento della burocrazia”. 
“Trentadue autorizzazioni, anni di attesa. Non si può fare impresa con una burocrazia arrogante e infinita”.


Barone, l’industria italiana è in grande sofferenza per la pandemia?

La crisi è profonda e generale. Si salva solo la produzione della filiera agroalimentare. Tutto il resto piange. Le difficoltà investono sia il mercato interno sia, soprattutto, l’esportazione. Pensi all’abbigliamento, dove il made in Italy è leader nel mondo, ma tutto è bloccato. Senza una campagna di vaccinazione a tappeto, l’unica soluzione per liberarci tutti dall’incubo del Covid, è difficile ipotizzare una inversione di rotta e una ripresa della produzione, ridotta ormai ai minimi termini.

Al di là dei vaccini, esiste una ricetta italiana per uscire dalla crisi?

La pandemia è un fenomeno mondiale. Esiste In Cina, negli Stati Uniti, in Brasile, quasi dappertutto. A Roma, a Shanghai, a New York, a Benevento, a Pechino, le strade sono vuote, non si vede un’anima, il turismo è un ricordo. Se non si muovono le persone, non si muovono le merci e le fabbriche che a pieno regime sono solo un miraggio. In attesa di una normalità che solo i vaccini possono ripristinare. Leggevo proprio oggi che tante famiglie hanno incrementato i loro depositi bancari. Non potrebbe essere altrimenti. Si resta in casa, non si entra in un negozio, non si va al ristorante. Non consuma, non si spende.

I fondi del Recovery Plan possono aiutare la produzione industriale a risollevarsi?

Guardi io capisco bene che si dovrà pensare in primo luogo alla sanità. E poi all’ambiente e alle infrastrutture. Però, ci attendiamo che si riesca a utilizzare una parte del Recovery per sostenere le aziende più in difficoltà, in primo luogo quelle che hanno chiuso e chiuderanno per colpe non proprie, ma solo per l’imprevedibile azzeramento della domanda. Senza dimenticare che abbiamo, anche a livello di produzione industriale, un’Italia a tre velocità con il Centro che rincorre il Nord e il Sud che insegue, come eterno fanalino di coda. I soldi dell’Europa possono servire almeno a ridurre i distacchi. Le aziende, dovunque dislocate, devono tornare a essere competitive, anche rispetto alla concorrenza sleale dei Paesi posti immediatamente ad Est allo Stivale. Penso alla Slovenia, alla Bulgaria, alla Romania, all’Albania, Paesi in cui i salari, le tasse, i contributi previdenziali, il costo dei capannoni e dei servizi sono a livelli neppure confrontabili con i nostri. Non a caso, già prima della pandemia, Il Nord Est, venti anni fa cuore di un moderno miracolo economico, era in sofferenza più di altre zone del Settentrione, perché i prodotti a buon mercato erano molto spesso a pochi chilometri di distanza.

Aiutare le aziende a rimettersi in moto. Riequilibrare le disuguaglianze geografiche. Difendere il made Italy dalla concorrenza della Europa dell’Est. C’è, però, il rischio che tutto, tanto per cambiare si areni fra le pastoie della burocrazia…

E’ un problema annoso, che sta diventando, nella situazione attuale, drammatico. Come si può continuare a credere nell’Italia che produce, se un’azienda, che vuole avviare un’attività, deve scavallare la montagna di trentadue autorizzazioni. Dal Comune alla Regione passando per decine di rivoli sparsi. Non se ne può più. L’imprenditore dovrebbe fare impresa, non il burocrate delle carte bollate. Il rimedio è dietro l’angolo: autorizzazione unica e tempi certi. In Cina, una volta accertata la disponibilità economica, le autorizzazioni ti piombano addosso in tempo reale. In Italia, se vuoi installare un impianto energetico innovativo, puoi aspettare tre o quattro anni. Poi non ci si può stupire se i Fondi europei per il Mezzogiorno continuano a tornare indietro. Inutilizzati. Non spesi. Bisogna sburocratizzare per davvero. Non a chiacchiere, come si è fatto sinora. Un bar si deve aprire in uno o due giorni. Un’attività produttiva in un mese. Perché dobbiamo continuarci a farci del male da soli? Con una burocrazia che ostacola, respinge, umilia gli imprenditori, impelagandoli nei meandri di una burocrazia Infinita. Ottusa. Arrogante. Inutile.

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