Intervista esclusiva SprayNews.it a Gianni Forti, zio di Chico

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AgenPress. Gianni Forti, zio di Chico, l’ex velista e produttore televisivo che dal 2000 sta scontando una condanna all’ergastolo per il presunto omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio 1998 a Miami, in un’intervista esclusiva rilasciata a Spraynews, chiede al ministro della Giustizia Marta Cartabia, che nella giornata di ieri avrebbe indirizzato una lettera al Dipartimento di giustizia americano, di accelerare i tempi per quanto riguarda il trasferimento del nipote in Italia la cui «salute è a rischio per un intoppo burocratico».


Il 23 dicembre Di Maio annuncia il ritorno in Italia. Da quel momento in poi non avete saputo più nulla. Perchè?

«Le causali sono molteplici. Il primo paletto l’ha messo la pandemia, attraverso la restrizione dei contatti. Il secondo, invece, è stato il cambio di amministrazione che ha riguardato il governo degli Stati Uniti. Il nuovo dipartimento di giustizia, infatti, si è insediato da poco e quindi c’è stato un rallentamento. Considerando le notizie che ho a disposizione, ritengo che possa essere superato tramite un contatto tra il ministero della Giustizia italiano e quello americano. Stiamo parlando di una documentazione ritardata, probabilmente mai partita, che blocca il tutto».

Delle semplici carte, pertanto, starebbero evitando a Chico di riabbracciare la sua famiglia?

«La convenzione di Strasburgo ha un iter burocratico che deve seguire determinati passaggi. Se questi ultimi vengono bloccati da ostacoli burocratici, purtroppo, il problema si amplifica. Delle carte, nei fatti, stanno impendendo a una persona di vivere».

Chico come sta vivendo questi giorni? Ha avuto modo di avere sue notizie?

«Non abbiamo informazioni, né punti di riferimento. Questi sei mesi di attesa ci hanno messo in forte apprensione. Non possiamo parlare liberamente con Chicco. I controlli delle prigioni americane sono differenti da quelli italiani. Mi sono messo in allarme perché il sospetto è che qualcuno abbia posto nuove condizioni, che non ci è dato sapere. Sei mesi mi sembrano più che sufficienti per il trasferimento in Italia, in particolare dopo quanto riferito dal ministro Di Maio. Nel frattempo, mio nipote aspetta con angoscia giorni, ore e minuti che per lui, sono davvero un’eternità».

Il ministro della giustizia della Cartabia, però, ieri ha indirizzato una lettera al Dipartimento americano…

«Il ministro Cartabia ha dichiarato che è priorità del suo dicastero concludere il trasferimento. Questa è una buona notizia, ma non serve perdere altro tempo, considerando che la questione politica è risolta mentre quella burocratica purtroppo è ancora aperta. Sarebbe opportuno, a brevissimo, un summit tra il ministero degli Esteri e quello della Giustizia per decidere una strategia comune, in grado di rendere più veloce una semplice trasmissione di documenti. Considerando che la madre di Chicco ha 93 anni, mi sembra a dir poco opportuno fare presto, considerando che lei sta andando avanti solo con la speranza di poter riabbracciare il figlio. Sono 23 anni che combattiamo e posso tranquillamente rivelare che le nostre riserve, purtroppo, si stanno esaurendo».

Quando Chico sarà trasferito potrà tornare a casa sua?

«Secondo la convenzione di Strasburgo, Chicco ritornerà in Italia come detenuto, ma non potrà essere messo in prigione se prima non vi sarà una commissione di giudici che decide una sorta di commutazione della pena. Secondo la nostra giurisdizione, infatti, si potrebbe pensare che avendo già scontato 21 anni in carcere possa avere delle attenuanti».

Tutta questa triste vicenda sarà raccontata in un libro che uscirà nei prossimi mesi. Come mai questa scelta?

«E’ dal 2007 che sto cercando di far luce su una vicenda molto nebulosa e ingarbugliata. Adesso, però, ci sono altri risvolti che ho deciso di raccontare alla Cavallaro, ritenendo che la sua penna fosse quella più idonea per narrare e far capire determinate sfaccettature del caso».

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