Omicidio Willy. Marco Bianchi. “Non l’ho colpito al petto, ma al fianco”. “Ero un ragazzo semplice e praticavo sport”

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AgenPress –  “Non ho colpito Willy al petto, con un calcio l’ho colpito al fianco sinistro e l’ho spinto. Lui è caduto ma si è subito rialzato. Io poi sono andato via dai giardinetti”.

E’ quanto ha raccontato, davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Frosinone, Marco Bianchi, accusato assieme al fratello Gabriele ed altri della morte di Willy Monteiro Duarte, il 21enne ucciso a Colleferro la notte tra il 5 e 6 settembre dello scorso anno durante un pestaggio.

Bianchi ha aggiunto: “io non avevo capito che era successo qualcosa di grave perché non sarei mai partito con l’auto. Mentre eravamo in macchina un mio amico si è rivolto a Belleggia (altro imputato) dicendo sei un pezzo di m…perché hai colpito quel ragazzo...”.

“Ero un semplice ragazzo, lavoravo al bar di mio fratello, ho sempre praticato il mio sport, la disciplina dell’Mma, da quando avevo 9 anni. Una passione di famiglia, visto che il maestro era mio zio, e che volevo fare come lavoro. Una semplice vita la mia, tra casa, amici e palestra”.

“Se avessi colpito Willy con un calcio al petto avrei ammesso le mie responsabilità”, ha dichiarato, allontanando da sé la circostanza testimoniata di aver sferrato il colpo che sarebbe stato letale al giovane.

Marco Bianchi, secondo le cronache giudiziarie e le numerose testimonianze dopo l’omicidio, sarebbe stato con il fratello dedito allo spaccio di stupefacenti ed estremamente violento, tanto da essere temuto nei paesi della zona.

“Prima di iniziare a lavorare al ristorante mi arrangiavo ma in nero, ho sempre lavorato. Lo sport che praticavo è uno sport come tutti gli altri, con delle regole. Mi chiamavano ‘Maldito il maledetto’, ma senza un significato preciso, ero un nome come tanti”.

Marco Bianchi ricostruisce in aula anche i rapporti con gli altri due imputati Belleggia e Pincarelli: “Ho conosciuto Francesco e Mario alle scuole medie, poi ognuno ha cambiato istituto e da lì non ci siamo più visti. Una semplice amicizia, ogni tanto li incontravo ad Artena, poi quando mio fratello ha aperto il locale Belleggia ha iniziato a venire. Ci sentivamo, veniva a casa mia, nonostante dopo i fatti lui abbia dichiarato che non fossimo amici. Così con Mario, anche lui veniva al ristorante”.

La sera dei fatti ero al ristorante con mio fratello, che lì lavorava, e con i miei amici. Poi io ho deciso di andarci a bere una cosa a Colleferro, io, mio fratello Gabriele, Vittorio Tondinelli, Omar Sahbani e Michele Cerquozzi. Guidavo io il Q7, era circa mezzanotte. Siamo andati al ‘Due di picche’ e lì abbiamo bevuto: abbiamo incontrato Francesco Belleggia e Mario Pincarelli intorno all’una. Da lì siamo usciti, ho incontrato una mia amica, abbiamo parlato del più e del meno e siamo andati a farci un giro con lei, Gabriele, Vittorio e le altre due ragazze amiche”, dice Marco Bianchi al pm Giovanni Taglialatela in aula.

“Michele e Omar ci aspettavano nella piazza dei locali, a Colleferro, quando più volte hanno chiamato per dirci che c’era una lite sono tornato con mio fratello, Vittorio e le tre ragazze in macchina con noi. Ma assolutamente non correvo, come è stato detto. Quando siamo arrivati nella piazza della movida ho visto la folla di gente accalcata nei giardinetti. Mi sono impanicato, ero agitato. C’erano delle persone, ma andavo a 15/20 km orari al massimo. Ho spento la macchina e sono sceso tranquillamente, come tutti gli altri, mi sono avvicinato cercando i miei amici, Omar e Michele. Quando sono arrivato c’era tanta gente, mi sono permesso di spingerli non di picchiarli. Se li avessi picchiati perché non sono andati a farsi refertare in ospedale?”.

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