AgenPress. «E’ il momento degli infermieri interinali: e ha del paradossale ciò che stiamo per raccontarvi.
Accade in Veneto, Regione già ampiamente in vetta alle cronache tutt’altro che edificanti della nostra sofferente sanità locale.
In tutta Italia, e certamente anche in Veneto, decine di infermieri, decidono volutamente, da mesi, stanchi e logorati da una situazione economico-contrattuale esasperante, di dimettersi dalla sanità pubblica e di aderire ad agenzie esterne.
Fin qui potrebbe essere tutto per così dire accettabile, se non accadesse che, di fronte alla sempre più grave voragine di personale (80mila unità in tutta Italia, 4mila nel solo Veneto) aziende sanitarie come quella della provincia di Venezia, la Ussl 3 Serenissima, ma di certo non è la sola, sono costrette a ricorrere a infermieri esterni, che però costano quasi 6mila euro lordi mensili, anziché valorizzare di fatto quelli che hanno “dentro casa”, incentivando economicamente i professionisti che già sono assunti per favorire un fisiologico ricambio con le nuove leve, per creare attrattività dei posti di lavoro, e per evitare così pericolose dimissioni.
Siamo increduli di fronte a realtà sanitarie che da una parte, con la mancata valorizzazione degli operatori sanitari, decidendo di fatto di non retribuire adeguatamente i propri infermieri, li lasciano “scappare via”, favorendo la carenza di personale. Dall’altra parte per coprire le falle, sono costretti a strapagare infermieri interinali.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Avete capito bene: mentre un infermiere della sanità pubblica vive oggi quasi sulla soglia della povertà nel nostro Paese, con quei 1780 euro netti, (dati aggiornati della Ragioneria dello Stato), che bastano a mala pena per sopravvivere, vista la contingenza economica attuale, ci sono aziende sanitarie che pagano quasi 6mila euro lordi mensili operatori sanitari esterni, provenienti da fuori regione, per coprire il proprio fabbisogno.
Ecco allora l’atteggiamento incomprensibile delle nostre Regioni e delle aziende sanitarie: tappare i buchi, invece di porre le basi per sanare in modo definitivo le falle interne di una barca che perde acqua da tutte le parti, invece soprattutto di rasserenare, con i fatti, gli animi di “una ciurma” che, arrivata al limite, decide di lasciare l’imbarcazione, riducendo all’osso il personale rimanente e aggravando a dismisura i compiti quotidiani di questi ultimi.
Certo, tornando al caso di chi decide di dimettersi dalla sanità pubblica per aderire ad agenzie esterne, lavorando da libero professionista, le garanzie non sono quelle che gli stessi avrebbero con un rapporto di lavoro dipendente, ma una reale gratificazione economica, lo abbiamo già detto, in un momento particolare come questo, ben giustifica la decisione di chi, in ogni parte d’Italia, lascia il lavoro da dipendente pubblico, per rientrare dalla finestra come libero professionista o attraverso una cooperativa.
E come potremmo commentare tutto questo, quando invece, basterebbe incentivare economicamente le forze di cui già disponiamo, evitando così che i nostri migliori professionisti siano costretti a guardare altrove?
Insomma, qui invece di realizzare politiche sanitarie coerenti con i bisogni del sistema, invece di mettere le nostre migliori eccellenze nella condizioni di esprimersi al meglio, innanzitutto valorizzando economicamente i principali attori, cioè gli operatori sanitari, e quindi puntando senza mezzi termini sulle migliori figure di cui già disponiamo, si adottano atteggiamenti noncuranti verso qualsiasi richiesta di considerazione e riconoscimento che, incredibilmente, prima costringono i nostri professionisti a correre via dalle strutture sanitarie pubbliche, e poi tendono a mettere toppe sul foro creato, nel tentativo di porre rimedio alla copiosa falla.
Certo è che gli infermieri, le figure chiave del presente e del futuro della nostra sanità, arrivati all’acme della sopportazione, con le enormi responsabilità che sorreggono quotidianamente sulle proprie spalle, decidono di dare addirittura le dimissioni in massa dalla sanità pubblica, andando ad aprire, come spesso accade, partita iva, o unendosi ad agenzie esterne.
I pronto soccorsi e gli altri reparti nevralgici degli ospedali vengono così lasciati in balìa delle onde, nelle mani di quei pochi coraggiosi che decidono di rimanere in un mare in tempesta, tra turni massacranti, stipendi appena sufficienti a reggere il mutato costo della vita, violenze fisiche e psicologiche perpetrate ogni giorno da cittadini che li trasformano, nel pericoloso vortice di una mala cultura, in un avvilente capro espiatorio, addossandogli le colpe delle carenze strutturali degli ospedali.
Siamo di fronte a quella stessa Regione Veneto che, per sopperire alla carenza di personale, ha deciso di creare, in barba alla credibilità e alle competenze degli infermieri, le figure “surrogate” dei SuperOss, quella stessa Regione Veneto che, da un lato lascia scappare i propri professionisti in cerca di valorizzazione, dall’altro cerca ed assume infermieri extracomunitari, come ad esempio accade nella marca trevigiana, ricorrendo a operatori sanitari che, con tutto il rispetto, troppo spesso non parlano la nostra lingua, e in troppi casi non posseggono i curricula formativi e le medesime competenze professionali dei colleghi costretti ad andar via.
La realtà ci preoccupa non poco: le dimissioni di infermieri, medici e altri operatori negli ultimi mesi rappresentano una triste piaga che la politica non si decide a sanare : più di duemila dimissioni in sei mesi, nel 2021. Sono i numeri della fuga degli operatori sanitari dal servizio pubblico. Sono i dati allarmanti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati al secondo semestre dello scorso anno.
Ecco la nostra sanità, che sempre più spesso come un treno privo di conducente ed a velocità sostenuta, corre pericolosamente su binari senza una solida base, mettendo a repentaglio l’incolumità di tutti i passeggeri», chiosa De Palma.