Stefano Zecchi: “La scuola italiana non è competitiva, i programmi sono gli stessi di quando andavo al liceo io”

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AgenPress. Il Prof. Stefano Zecchi, filosofo, accademico e saggista, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Nautilus” condotta dal direttore Gianluca Fabi e Alessio Moriggi su Radio Cusano Tv Italia (ch. 264 dtt).

Sul Ministero dell’istruzione. “E’ un Ministero molto complicato –ha affermato Zecchi-. Io ho avuto delle funzioni quando era ministro Letizia Moratti. E’ un ministero che va separato dalla ricerca scientifica e dall’università. Gestire la bellezza di 8 milioni di studenti, 1 milione e mezzo di docenti è difficilissimo da un punto di vista gestionale, poi c’è l’aspetto culturale. Noi abbiamo una scuola che non è competitiva. Io ho un figlio di 16 anni che fa la terza liceo classico e ha praticamente gli stessi programmi che avevo io. E’ una scuola che deve aggiornarsi. La scuola non deve essere per gli insegnanti, ma per gli studenti. Questo da diversi anni è stato dimenticato”.

 Sull’esame di maturità. “Quest’anno si doveva abolire. Non si doveva fare un esame in quel modo. Già la maturità ha perso il suo valore di verifica, il suo valore simbolico, promuovono praticamente tutti. Invece quell’esame dovrebbe essere mantenuto come un momento di crescita e di distacco, di ingresso nella società. Ora è diventato un giochino. Già non aveva più senso prima, farla nel modo in cui è stata fatta quest’anno è stato ancora peggio. Si doveva abolire, si doveva dire: va bè, quest’anno è andata così”.

Sul rapporto tra giovani e tecnologia. “C’è una demonizzazione di tutto l’apparato tecnologico, dei telefonini. Mia moglie vuole che proibisca a mio figlio l’uso del cellulare. Il cellulare lo si può mettere da parte quando si studia. Sembra invece sia diventato l’elemento diabolico che rovina i giovani. La pandemia ha dimostrato che i ragazzi, seppur iper tecnologici e sempre col telefono in mano, hanno patito moltissimo l’assenza di un rapporto vero, direi quasi fisico-carnale con l’altro. Questo dimostra che l’apparato tecnologico non surroga assolutamente quello dell’esperienza. Questi giovanotti sono davvero un passo avanti rispetto a noi e li invidio moltissimo perché possono essere sempre in contatto tra loro. Io avevo le tasche piene di gettoni, per non farmi sentire dovevo andare a telefonare fuori e la cabina telefonica magari era occupata, perdevi la fidanzata perché non avevi gettoni. I ragazzi hanno capito l’importanza dello stare insieme, del rapporto vero, ma lo sapevano anche prima, siamo noi che non lo capiamo. Ci sono sempre stati i lavativi, i fannulloni e ci sono anche oggi, così come ci sono ancora i ragazzi preparati ed educati. Il problema è la famiglia, che è la prima struttura educativa. Allora è inutile che i grandi si lamentino della maleducazione e della superficialità dei ragazzi”.

Sul rapporto con la ‘morte’ dopo l’esperienza della pandemia. “La società porta alla ricerca di sempre maggiore efficienza e protagonismo, una visione sempre edulcorata del rapporto con l’altro. La morte è lo scandalo, è quello che non ti consente di comprendere il valore vero della vita. Questo lo capisci attraverso le tradizioni, e la tradizione sono gli anziani. Ai miei tempi si viveva tutti in una casa, gli anziani erano con noi. Oggi si tende a togliere via lo scandalo, che prima ancora della morte è la vecchiaia, cioè la capacità di essere efficienti come si vorrebbe. Ci sono delle situazioni in cui tante lacrime che ho visto dei parenti mi pare fossero di coccodrillo. Mi veniva da chiedermi: ma perché i vostri anziani non li tenete a casa con voi? Sembra che li mettano in queste case di riposo come si fa con i cagnolini che non si vogliono più tenere in casa perché si vuole andare in vacanza e li si lega ai paraurti delle strade. Mi sembra che tante volte ci si voglia liberare degli anziani. Togliendoli dalle case si toglie la nostra storia, la nostra tradizione”.

Sulla citazione di Baricco da parte del premier Conte. “Mi infastidisce moltissimo la retorica invadente che tocca tutto e tutti, anche le intelligenze come quelle di Baricco. Poi mi infastidisce la follia retorica del concetto che dobbiamo pensare al rilancio perché ci ha spiegato qualcosa questa epidemia. Questa epidemia ci ha mostrato semmai una complessità della situazione sanitaria che dobbiamo rivedere nel futuro. Conte dice che dobbiamo ripartire dalla bellezza dell’Italia, ma quella c’era anche prima che arrivasse lui, forse non se n’era accorto. Noi abbiamo una classe politica che non è all’altezza di una situazione culturale. In passato la cultura e la politica erano integrate, c’era la politica che prendeva il suo fondamento dalla cultura e una politica che dava le regole all’economia. Oggi c’è l’economia che detta l’agenda alla politica e la politica che si serve della cultura per fare discorsi retorici. Qui la gente non ha più soldi per fare la spesa, altro che ripartire in quel modo retorico”.

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