De Masi (sociologo): “Lo Stato è tornato protagonista perché il privato di fronte alla pandemia si è tirato indietro”

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AgenPress. Il sociologo Domenico De Masi è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Nautilus” condotta dal direttore Gianluca Fabi e Alessio Moriggi su Radio Cusano Tv Italia (ch. 264 dtt).

Sulla burocrazia. “Bisogna tenere conto che se uno Stato va avanti, la burocrazia non può essere del tutto negativa altrimenti si arresterebbe l’intero Paese –ha affermato De Masi-. In Italia abbiamo 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, una cifra inferiore rispetto ad altri Paesi. Questo numero esiguo di dipendenti statali manda avanti il nostro Paese, che si piazza all’ottavo posto nel mondo. Questo vuol dire che tutto sommato la nostra burocrazia tanto negativa non è. Ogni volta che si dice che qualcosa è in ritardo, bisognerebbe anche dire in ritardo rispetto a che cosa, a quale scadenza. Alcune volte c’è anche un’incapacità di capire le difficoltà di una macchina che è fatta di 3 milioni di persone. Quando si dice che i codici degli appalti sono troppo farraginosi in Italia, non si tiene conto che a quegli appalti concorrono anche le mafie.

Nel momento in cui gli evasori fiscali sono talmente tanti, è difficile fidarsi del cittadino, quando tra i cittadini ci sono 4 multinazionali del crimine: mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita. Naturalmente la Svezia che ha un numero molto inferiore di cittadini, che ha una tradizione molto più lealista nei confronti dello Stato, è ovvio che quello Stato abbia un rapporto diverso dal cittadino. Io non credo che noi cittadini italiani abbiamo le carte in regola per pretendere dallo Stato maggiore fiducia”.

Sul protagonismo dello Stato durante l’emergenza Coronavirus. “Il protagonismo dello Stato è dovuto al fatto che c’è stato un arretramento del privato. Di fronte ad una pandemia che richiedeva più sacrificio, il privato si è tirato indietro ed ha lasciato il campo libero allo Stato. Da noi sono morti tantissimi medici ed infermieri, andiamo a vedere quanti erano nella sanità pubblica e quanti in quella privati. La stragrande maggioranza erano nella sanità pubblica. Eravamo un Paese anti keynesiano, eppure in questo momento tutti chiedono soldi allo Stato, anche i più liberisti. Si vorrebbe che lo Stato appianasse le cose come se la pandemia non ci fosse stata. C’è anche un infantilismo nel chiedere troppo allo Stato. Spesso si è fatto il paragone nel dopoguerra, ma in quel contesto c’erano milioni di morti ed era tutto distrutto. C’era uno Stato che non aveva una lira e non c’era una comunità europea che ci poteva aiutare. Allora tutti si sono rimboccati le maniche. Oggi invece si chiede allo Stato ed all’Europa di azzerare i danni, mentre dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che la pandemia è stata come una tempesta di grandine che distrugge il raccolto di un contadino”.

Sul reddito di cittadinanza. “Dei 5 milioni di poveri, 4 milioni sono anziani, bambini o inabili. Quindi il reddito di cittadinanza non c’entra niente con il lavoro. E’ una confusione che hanno fatto tutti, soprattutto i media. Il reddito di cittadinanza serve per far sopravvivere i poveri. Non è con l’aumento dell’occupazione che si aiuta la povertà, sono due cose diverse. Per i poveri non c’è altro che l’assistenza. Ad un bambino malato figlio di poveri che gli si può dare se non l’assistenza? Se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza avremmo avuto una rivolta durante il lockdown. Reddito di cittadinanza e telelavoro hanno salvato l’Italia in questi mesi”.

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