AgenPress. «Delle oltre 1600 aggressioni all’anno, ai danni dei professionisti sanitari italiani, che si consumano drammaticamente nei nostri pronti soccorsi e durante i servizi esterni del 118 sulle ambulanze, manca all’appello un altro tassello, la cui drammaticità pur storicamente nota, tuttavia da troppo tempo passa in secondo piano. Ci riferiamo a quanto accade ad esempio nei reparti psichiatrici. Ce lo racconta la cronaca più recente.
E’ come se fosse del tutto normale nella delicata quotidianità del rapporto tra medici e infermieri, con pazienti dallo stato mentale “difficile”, dover essere costretti a subire aggressioni fisiche e minacce quasi ogni giorno.
«Da medico conosco e posso immaginare bene i sottili lineamenti che caratterizzano la difficile realtà dei reparti psichiatrici, pur non lavorando direttamente al loro interno, ma trovandomi a contatto quotidiano con colleghi oggi più che mai stanchi, avviliti, stressati, impauriti, e posso testimoniare, come presidente e fondatore di Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, e già 4 volte Consigliere dell’ordine dei medici di Roma, che accanto agli episodi dei pronto soccorsi e dei colleghi del 118, la situazione delle violenze subite nei reparti dove si affronta la drammaticità delle malattie mentali, in Italia, è davvero insostenibile.
Così Foad Aodi, Presidente di Amsi e del Movimento Uniti per Unire, nonché Docente di Tor Vergata e membro del Registro Esperti della Fnomceo.
«Già precedenti autorevoli report nazionali hanno fatto emergere chiaramente che le aggressioni nei reparti psichiatrici sono all’ordine del giorno e in particolare a subire le reazioni inconsulte e incontrollabili dei pazienti sono le nostre donne della sanità, in particolare le infermiere, accanto naturalmente agli psichiatri.
Spinte e aggressioni fisiche e minacce verbali sono diventate ordinaria amministrazione per oltre metà del personale che lavora nel campo della salute mentale. La percezione del rischio è profondamente peggiorata nel corso degli ultimi tempi e rappresenta uno degli elementi di fuga degli operatori dal servizio sanitario nazionale, in particolare per ciò che concerne le dimissioni dalla sanità pubblica.
A tutto questo abbiamo voluto aggiungere i nuovi dati dell’inchiesta globale sulle aggressioni al personale sanitario da parte di Amsi, Umem (Unione Medici Euromedimediterranea) e Uniti perUnire, che evidenzia chiaramente come, all’interno dei nostri ospedali per i professionisti sanitari la situazione sia diventata insostenibile.
Secondo noi dell’Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, inoltre, l’Italia è ai primissimi posti in Europa per numero di aggressioni subite da medici e infermieri.
Per arrivare a questa analisi Amsi si è mossa personalmente con le sue centinaia di contatti sparsi in tutti i Paesi d’Europa, Paesi Arabi, africani, asiatici e sudamericani per ottenere un adeguato e attendibile confronto con quanto accade in Italia.
Secondo i dati in nostro possesso, a livello mondiale, il 40% dei professionisti della sanità in carriera ha subito almeno una violenza fisica, mentre il 60% è stato vittima almeno una volta di una violenza verbale e psicologica.
Aumentano le percentuali nei presidi sanitari di guerra: 55% ha subito violenze fisiche, 70% quelle verbali.
I professionisti della sanità sono soggetti a rischio quattro volte in più rispetto a tutte le altre professioni, in particolare nei luoghi del mondo disagiati e poveri.
Nel mondo i reparti dove si registra il maggior numero di aggressioni sono secondo le nostre indagini i seguenti.
Emergenza e pronto soccorso
Medicina interna e geriatria
Psichiatria e medicina .mentale
Oncologia
Ginecologia e ostetricia
Ortopedia e traumatologia
Pediatria e neonatologia
Cardiologia
«Amsi chiede, per l’Italia e non solo, da tempo un piano più radicale di presenze di presidi di forze dell’ordine e in particolare l’attenzione va posta nei confronti delle nostre donne, in assoluto le vittime sacrificali delle più vili aggressioni. Tutto questo non accade, sia chiaro, solo nei grandi ospedali. I professionisti a rischio sono anche quelli che operano nei luoghi isolati, come nel caso delle guardie mediche.
Non è possibile continua Aodi, per un medico, per un infermiere, per uno psichiatra, lavorare in una situazione di costante angoscia e essere oltre tutto consapevole di non avere il supporto adeguato. Se da una parte, nel caso dei reparti con malati affetti da patologie mentali, questi pazienti “difficili” hanno sacrosanto diritto alle cure, dall’altra è fondamentale, e questa è una delle ricette che noi di Amsi suggeriamo da tempo alla politica, che tutti i professionisti sanitari italiani e quelli di origine straniera si sentano tutelati da una organizzazione, all’interno delle realtà sanitarie, degna di tal nome, che permetta loro di lavorare sereni, e di offrire quindi ai malati il meglio delle proprie competenze.
Questo contribuirà anche ad arginare le fughe all’estero e le dimissioni, che non fanno altro che indebolire il nostro sistema sanitario. Non possiamo rischiare di svuotare gli ospedali di professionisti, rendendoli luoghi non più sicuri per i medici, per gli infermieri, per i malati», conclude Aodi.