AgenPress. Trent’anni fa la strage di via d’Amelio con la morte di Paolo Borsellino e della donna e degli uomini della sua scorta. È stata una vergogna non riuscire a proteggere colui che era diventato l’obiettivo numero 1 della mafia dopo la morte di Falcone. È stata una vergogna aver consentito il depistaggio sul processo per la strage.
Ci sono troppi nodi da sciogliere in questa vicenda, anche trent’anni dopo, e molti riguardano strane figure della magistratura e di altri dirigenti dello Stato più che la politica, sempre tirata in ballo spesso in modo assurdo. Oggi però bisognerebbe solo chiedere scusa alla famiglia Borsellino.
E segnatamente ai figli di Paolo: Lucia, Manfredi e Fiammetta. Hanno portato nel cuore un dolore immenso e hanno subito le conseguenze del depistaggio e il clima che è stato creato. Lo Stato deve chiedere scusa. Punto. Quanto a Paolo Borsellino: la sua voce che spiega ai ragazzi scout il 20 giugno 1992 che è l’amore che aveva spinto Falcone a combattere fino al martirio ha segnato una generazione. La nostra generazione.
Abbiamo un debito di riconoscenza enorme nei confronti di questo uomo e delle persone che sono morte per proteggerlo. Esserne consapevoli significa chiedere innanzitutto di lottare contro la criminalità e la mafia, cominciando dalle scuole, e lavorare per avere una giustizia giusta contro tutti gli inquinamenti, contro tutti i depistaggi.
E’ quanto dichiara, in una nota, Matteo Renzi leader di Italia Viva.