Don Aldo Buonaiuto: “Stato ai Regioni restituiscano dignità ai lavoratori”

Dalle colonne di Interris.it, don Aldo Buonaiuto, fondatore del quotidiano online In Terris e sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, lancia un appello allo Stato e alle Regioni, affinché si smetta di “litigare sulle attribuzioni di competenze e provvedano a restituire dignità ai lavoratori più meritevoli di concreta gratitudine collettiva”. 


Agenpress. C’è un’immagine che ha fatto il giro del mondo: i sacchi dell’immondizia usati come camici dal personale sanitario nei reparti ospedalieri del nord Italia. Oggi quegli stessi infermieri, che hanno combattuto a mani nude contro il mostro della pandemia, sono scesi in numerose piazze per gridare il loro sdegno contro una “vergognosa beffa”. In busta paga si ritrovano pochi spiccioli come “ringraziamento” per aver rischiato la loro vita nelle trincee di una emergenza senza precedenti. Un insulto e una contraddizione rispetto ai toni encomiastici sperperati a tutti i livelli istituzionali nei confronti di quelli che Papa Francesco ha giustamente chiamato “santi della porta accanto”.

E’ paradossale che proprio quanti hanno tenuto in piedi il Paese durante lo tsunami epidemico vengano adesso disillusi e snobbati secondo il più ingiusto e proverbiale cinismo del potere che spreme finchè ha bisogno e poi getta via nel dimenticatoio. Lanciamo, perciò, un accorato appello affinchè Stato e Regioni smettano di litigare sulle attribuzioni di competenze e provvedano a restituire dignità ai lavoratori più meritevoli di concreta gratitudine collettiva. Ci riferiamo a tutti coloro che in pieno lockdown hanno assicurato la continuità funzionale delle infrastrutture indispensabili alla vita pubblica e privata di una nazione. Tra questi, ricordiamo anche gli operatori della comunicazione che stanno sperimentando l’assurda condizione di essere quanto mai necessari alla comunità eppure penalizzati e ridotti nel numero e nella retribuzione da tagli indiscriminati in un settore vitale per tenere unita e sostanziale la convivenza democratica.

Fin qui ciò che è lecito e doveroso attendersi dalle istituzioni, ma non possiamo derubricare una epocale tragedia a questioni amministrativo-burocratiche. C’è un’urgenza persino più grave ed è quella etica e morale che chiama in causa la coscienza individuale di ogni cittadino. E’ intollerabile gridare e stracciarsi le vesti per le inefficienze e i ritardi della politica quando poi si dimostra una vergognosa irresponsabilità nei comportamenti individuali. In questa settimana, sono accadute sceneggiate indegne di un paese civile e di una collettività che si considera evoluta. In pieno allarme, numerosi sindaci di città benestanti, devastate per mesi dal covid, hanno dovuto anticipare in tutta fretta la chiusura di locali e luoghi di aggregazione perché migliaia di incoscienti ( quasi tutti di età tutt’altro che adolescenziale) stavano trasformando l’impresentabile movida in una scandalosa occasione per rilanciare il contagio di massa. Non era mai successo che le associazioni degli industriali dovessero acquistare pagine di quotidiani per scongiurare il rilancio della curva epidemica a causa delle condotte sconsiderate di singoli che mettono consapevolmente a rischio la sopravvivenza di un’intera civiltà.

Risuonano tristemente profetiche le invettive, ispirate alla giustizia biblica, di un grande teologo e pastore come Giacomo Biffi sulla nostra società “sazia e disperata” che maschera di finta libertà la sua totale e patologica incapacità di pensare al bene comune e di accettare qualsiasi limitazione al proprio egoismo criminale. Abbiamo ascoltato noi il grido disperato di medici e amministratori che non sanno più come ripetere che abbassando le difese il coronavirus diventerà una pestilenza talmente grave da impedire qualunque ripresa duratura. Quindi, non possono esistere più alibi: chiunque mette a repentaglio l’uscita dal tunnel della pandemia ne dovrà rispondere alla giustizia umana e divina. La democrazia cammina sulle gambe della responsabilità individuale o sprofonda nella palude dell’anarchia delinquenziale, nella legge della giungla in cui ogni uomo diventa lupo per gli altri uomini. Homo homini lupus. Fermiamoci finché siamo in tempo. D’ora in poi il sangue degli eroi ricadrà sugli irresponsabili che impediscono di spostare la notte più in là. Così si capisce chi è creatura della luce e chi è complice delle tenebre.

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