Omicidi in famiglia. Consulta. Incostituzionale la norma introdotta dal Codice Rosso. Il giudice può diminuire la pena se ci sono circostanze attenuanti

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AgenPress – Anche nei processi per omicidio commesso nei confronti di una persona
familiare o convivente il giudice deve avere la possibilità di valutare caso per caso se
diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle
attenuanti generiche.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 197, depositata oggi
(redattore Francesco Viganò), con la quale è stato dichiarato incostituzionale
l’ultimo comma dell’art. 577 del codice penale, introdotto dalla legge n. 69 del 2019
(cosiddetto “codice rosso”).

La norma vietava eccezionalmente al giudice di dichiarare prevalenti le due attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio.
La questione era stata sollevata da due ordinanze della Corte d’assise d’appello
di Torino e da un’ordinanza della Corte d’assise di Cagliari.

La Corte d’assise d’appello di Torino sta procedendo nei confronti  di Alex Cotoia, il giovane condannato per aver ucciso il padre violento il 30 aprile del 2020 a Collegno. La Corte d’assise d’Appello l’aveva riconosciuto colpevole, rimandando gli atti ai giudici supremi per capire l’entità della pena. I giudici costituzionali hanno detto che si può ridurla e quindi la condanna potrebbe passare dai 14 anni a una tra i 9 e i 6 anni di carcere.

La Corte torinese non ritiene – a differenza di quanto stabilito dai giudici in
primo grado – che l’imputato abbia agito in legittima difesa, ma gli riconosce varie
attenuanti, tra cui la provocazione e le attenuanti generiche.
In un diverso procedimento, la stessa Corte d’assise d’appello deve giudicare
della responsabilità penale di una donna che aveva ucciso il marito, autore di reiterati
comportamenti violenti e prevaricatori nei confronti propri e del figlio.

Anche in questo caso, la Corte esclude la legittima difesa, ma ritiene che all’imputata debbano essere riconosciute, tra l’altro, la provocazione e le attenuanti generiche.
La corte cagliaritana, infine, sta procedendo nei confronti di un uomo,
sessantasettenne al momento del fatto, accusato di avere ucciso la moglie
sessantenne, in un momento di esasperazione provocato dai continui comportamenti
aggressivi della vittima, alcolista e affetta da patologie psichiatriche.
La Corte costituzionale ha ritenuto, in particolare, che il divieto posto dalla
norma censurata determini una violazione dei principi di parità di trattamento di
fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli
articoli 3 e 27 della Costituzione.
La norma impone infatti al giudice di applicare la stessa pena (l’ergastolo o, in
alternativa, la reclusione non inferiore a ventun anni) sia ai più efferati casi di
femminicidio, sia a casi come quelli oggetto dei procedimenti principali,
caratterizzati da significativi elementi che diminuiscono la colpevolezza degli
imputati, e nei quali una pena così severa risulterebbe manifestamente
sproporzionata.
La decisione odierna, ha sottolineato la Corte, non contraddice in alcun modo
la legittima, ed anzi apprezzabile, finalità del “codice rosso” di intervenire con misure
incisive, di natura preventiva e repressiva, contro il drammatico fenomeno della
violenza e degli abusi commessi nell’ambito delle relazioni familiari e affettive.
Tuttavia, la Corte ha evidenziato che l’assolutezza del divieto posto dal legislatore
può comportare nei singoli casi risultati contraddittori rispetto a questo scopo,
finendo per determinare l’applicazione di pene manifestamente eccessive in
“situazioni in cui è il soggetto che ha subito per anni comportamenti aggressivi a
compiere l’atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo
causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto”.

In conseguenza di questa decisione, le corti d’assise avranno nuovamente la
possibilità di valutare caso per caso se debba essere inflitta la pena dell’ergastolo,
prevista in via generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare o di
un convivente, ovvero debba essere applicata una pena più mite, adeguata alla
concreta gravità della condotta dell’imputato e al grado della sua colpevolezza.

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